I dati Istat delineano un quadro chiaro e preoccupante: l’82% delle persone tra i 15 e i 70 anni hanno subìto, almeno una volta nella vita, molestie sul luogo di lavoro. Soprattutto le donne. Un dato che diventa ancora più allarmante se si pensa alla paura che una lavoratrice possa provare ogni qualvolta si reca sul proprio posto di lavoro, con l’angoscia semmai di incontrare un ipotetico collega che con i suoi atteggiamenti potrebbe creare non poco disagio. È giusto doversi sentire inadeguate perché oggetto di interesse molesto? No, non lo è. La risposta è semplice ma non per questo banale. Le storie di molestie o violenze, purtroppo, sono antiche quanto il mondo e il fenomeno non accenna purtroppo a placarsi.

Mesi fa, in un articolo, una giornalista ha riportato su carta la sua esperienza personale: dopo quasi vent’anni ha raccontato di un episodio di molestia di cui è stata vittima. Desiderosa di fare un reportage in Siria, la giornalista incontrò in un bar un capo redattore che sembrava interessato al suo viaggio a Damasco. L’indomani la giovane, all’epoca dei fatti venticinquenne, ricevette un’email contenente apprezzamenti su quanto fosse sensuale il tatuaggio che aveva sulla caviglia destra. Appena letta l’email, nella sua testa si affollarono mille pensieri. Iniziò a chiedersi se fosse stata ambigua, se l’abito che indossava fosse stato troppo corto. Nei mesi successivi seguirono altre email con frasi ancora più inequivocabili. Decise così di non rivederlo e l’articolo non venne mai pubblicato. Le storie di molestie sono sempre diverse, ma in ogni storia si innesca sempre lo stesso meccanismo: il senso di colpa, il senso di inadeguatezza. Per aver fatto cosa? Nulla. E le emozioni, dinanzi a queste storie, sono sempre di sgomento, impotenza ma allo stesso tempo pervade un forte desiderio di rivalsa, di fare qualcosa per cambiare il corso degli eventi.

Negli ultimi mesi, il Coordinamento Pari Opportunità della UILTrasporti Campania ha ricevuto diverse segnalazioni da parte di lavoratrici insidiate da uomini sul luogo di lavoro, attraverso atteggiamenti inopportuni, parole offensive, sguardi non graditi. Le denunce presentate restituiscono uno spaccato di vita quotidiana in cui prepotentemente emergono “maschi” che recitano ruoli di potere e prevaricazione generando paure, ansie e timori nelle vittime di turno, che dovrebbero vivere in un ambiente sereno. Essere predisposti all’ascolto attivo è il primo passo per tendere la mano, il dialogo è uno strumento potente per trasformare la voce in azione concreta. Quando si vivono situazioni spiacevoli in ambito lavorativo è importante rivolgersi ai Coordinamenti Pari Opportunità, farlo pensando che non si è mai soli. Gli interventi vengono attivati dopo aver esaminato attentamente la situazione, con l’obiettivo di garantire il benessere psicologico di ogni lavoratore. Il senso di inadeguatezza che sembra marchiarci quando ci troviamo in situazioni che sfuggono alla nostra volontà non può e non deve impedirci di parlare, di denunciare, di intervenire per cambiare il corso degli eventi. Il cambiamento si verifica quando facciamo un primo passo, per procedere oltre quel buio che pare risucchiarci. Quando con tutte le nostre forze quel passo ci porta anche solo un centimetro oltre dove eravamo, significa che qualcosa sta cambiando. Accogliamo l’invito di Gandhi quando ci chiede di essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo. Insieme possiamo farlo.
Rachele Pagano