Non più di un anno fa Articolo16 ha evidenziato la grande difficoltà per il Porto di Napoli di riuscire a gestire le folle oceaniche di turisti che, fortunatamente, dopo la grossa crisi pandemica del 2020 – 2021, hanno letteralmente invaso la città trovandola forse poco preparata a gestirle. Purtroppo, pur essendo trascorso del tempo, non si è riusciti in alcun modo a porre rimedio a questo caos spesso ingovernabile e la mancanza di servizi adeguati ed efficienti nello scalo partenopeo rendono, ancora oggi, la situazione complessiva alquanto difficoltosa. Ma se la città, soprattutto nell’ultimo periodo, anche per la popolarità calcistica raggiunta, è riuscita ad avviare un’opera di riqualificazione dell’offerta per venire incontro alla domanda, il porto non è riuscito a fare lo stesso. Agli occhi di un turista può sfuggire un aspetto che ad un attento cittadino sembra invece lampante: a Napoli sussiste da anni un problema di difficile integrazione del porto alla sua città e non è facile ricucire la frattura che si è venuta a creare. Da sempre, infatti, porto e città formano un territorio articolato, interconnesso e allo stesso tempo separato in cui entrano in gioco una moltitudine di attori e meccanismi di governance, spesso mossi da differenti obiettivi e responsabilità. Non si riesce a comprendere che il porto di Napoli, potenziale volano per l’economia partenopea, è una delle porte di ingresso alla città e, per come è gestito attualmente e per le infrastrutture e i servizi che offre al turista, spiace dirlo, ma rappresenta una porta secondaria se non di servizio.

Ciò che lascia perplessi è anche la lentezza con la quale le opere e le infrastrutture vengono realizzate nella nostra città e la lungaggine di lavori infiniti e di cantieri aperti per mesi se non anni. A luglio, dopo oltre 20 anni di lavori, è stato aperto il nuovo sottopasso di collegamento tra piazza Municipio e il Porto di Napoli.  Un tunnel che collega i due punti nevralgici della città senza far attraversare a napoletani e turisti la piazza, unendo immediatamente il porto e la città con quattro comodi tapis roulant e consentendo di ammirare e costeggiare il bastione di tufo medievale che circondava il Maschio Angioino. Un’opera questa per la cui bellezza e importanza infrastrutturale va riconosciuto un plauso all’Amministrazione cittadina; tuttavia, ciò che fa riflettere è ancora una volta la tempistica impiegata che non è al passo con la domanda turistica. Ma anche l’Autorità di Sistema Portuale, ente di governo del porto, non è da meno nei tempi di riqualificazione del waterfront cittadino. Dal 2004, anno del concorso internazionale, si è in attesa della realizzazione dell’intervento che costituisce, per la città di Napoli, un’occasione fondamentale per presentare un volto nuovo alla cucitura urbana tra l’ala occidentale del porto, dedicata alle attività marittime al servizio dei passeggeri, ed il cuore del centro antico, che abbraccia un’area strategica di un luogo dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, nel tratto che si dispiega da Via Caracciolo-Molosiglio sino alla Piazza Mercato. Un programma ambizioso di riqualificazione paesaggistica e architettonica, la cui esecuzione è iniziata solo nel 2018 con 14 anni di distanza rispetto alla fase progettuale e che, sicuramente, non terminerà prima del 2024.

Ancora venti anni di attesa. Paradossale se si pensa che alcuni anni fa, dopo una breve visita al porto di Napoli e dopo aver visionato il progetto del waterfront, dei tecnici giapponesi, tornati in patria, lo hanno riprodotto nel porto di Yokohama in brevissimo tempo. Ancora più demoralizzante se si pensa che non molto lontano lo scenario cambia: è di pochi giorni fa l’inaugurazione del “Palermo Marina Yachting”, la grande infrastruttura che cambia il volto del molo trapezoidale e restituisce ai palermitani il contatto con l’acqua.  Il muro che divideva la città dal porto non esiste più. Ben 14 accosti per panfili da oltre cento metri, una piazza, quattro ristoranti, sette botteghe dedicate a moda e cibo, un laghetto artificiale, un anfiteatro, una sala conferenze, una scuola di cucina, una spa e, non ultima, la fontana musicale più grande d’Italia. Soli 18 mesi per realizzare un mega progetto di riqualificazione grazie alla volontà politica e alla capacità manageriale di chi è alla guida della port Autority palermitana. L’inaugurazione di questo plesso ha rappresentato il superamento della dicotomia tra pubblico e privato. Ma al porto di Napoli questa lungimiranza e questa rapidità sembrano mancare: tanti sono i progetti fermi o in ritardo; oltre il waterfront ci sono la Nuova Darsena inutilizzata, i dragaggi ancora irrealizzati, il PNRR che non decolla, la frattura con l’area orientale del porto di cui si è già in passato discusso su Articolo16, senza dimenticare l’Immacolatella Vecchia, opera monumentale restaurata e nuovamente abbandonata al deterioramento. Tutto questo sta a testimoniare, senza alcun dubbio, una cattiva gestione della “res publica” che non fa che riversarsi sui cittadini e sui lavoratori. Il porto non è un “enclave”, eppure in pochi sembrano capirlo, soprattutto chi governa questo territorio con una visione sicuramente ristretta e per nulla manageriale: non si riesce a comprendere che il porto crea economia, dà occupazione e rappresenta un grande valore aggiunto per la città che lo ospita!