Napoli teatro di violenza. Napoli come un Far West. Napoli terra di criminalità dove avvengono accoltellamenti, risse, incendi di opere d’arte. E addirittura omicidi, in uno dei luoghi della città che dovrebbe essere tra i più presidiati, a pochi passi dalla Prefettura e dalla casa comunale. Una città così bella ma alla deriva. Il barbaro omicidio di Giovanbattista decreta non solo la morte di un giovane ma dell’intera città dove sono saltati ormai tutti gli argini, in un territorio contagiato da una violenza dilagante. La vogliamo definire un’ingiustizia? Vogliamo chiamarlo abominio? Non esiste un termine esatto per definire quello che è accaduto all’alba dello scorso 31 agosto in Piazza Municipio a Napoli e che ha visto protagonista un giovane musicista di soli 24 anni. È comprensibile il senso di smarrimento della parte sana di Napoli. Una vicenda che non solo lascia l’amaro in bocca, dolore, sofferenza e rabbia ma lascia basiti, atterriti, impotenti dinanzi a cotanta violenza e barbarie. Una perversa e cinica cultura di morte che attanaglia non solo quella zona suburbana abbandonata a se stessa, dove esistono quartieri condannati ad una miseria materiale, alla solitudine, alla disoccupazione ma anche il centro città. Non esistono più quartieri sicuri, il pericolo di reati e azioni criminali da parte di bande organizzate è dietro l’angolo. Se provassimo a chiederci perché in una notte di totale follia un giovane ha perso la vita per una banale lite per il parcheggio di un motorino ci verrebbe solo da constatare che viviamo in una pericolosa emergenza educativa e sociale generata dalla totale eclissi della persona a cui si aggiunge un’inadeguatezza, lampante e dolorosa, che ci rende incapaci di guardare al futuro. Perché qui non si parla di un incidente, di una tragica fatalità. Qui si parla di spezzare una vita, di uccidere a sangue freddo, di interrompere i sogni di un essere umano, di negare la vita a qualcuno. E nessuno ha il diritto di farlo. Nessuno dovrebbe provare un dolore così grande, guardare uscire un figlio di casa e non vederlo tornare più. Non si può immaginare una vita stroncata da tre colpi di pistola, un’arma fatale tra le mani di un 16 enne che non ci ha pensato più volte a freddare alle spalle un altro ragazzo. E mentre Giovanbattista viene strappato alla vita il suo carnefice fugge con gli amici. E questa volta, come in quei fatti di cronaca violenta che vedono protagonisti minori e che purtroppo si ripropongono con una cadenza agghiacciante, non riusciamo ad assumere l’atteggiamento di chi è impegnato nella difesa incondizionata non solo della vittima ma anche del carnefice. Questa volta no. Questa volta non possiamo accettare che un giovane criminale indagato per questo omicidio e che oltre a precedenti per reati contro il patrimonio ha alle spalle anche un tentato omicidio, resti poi ingiudicato. E ancora ci domandiamo se è giusto o meno abbassare l’età di impunibilità? Ancora siamo in dubbio se occorrono pene certe ed esemplari? Ancora permettiamo a chi commette un abominio simile di essere mandato in un istituto penale minorile di Napoli e non essere invece rinchiuso in un vero carcere? Ma davvero crediamo che chi commette un simile atto deve restare impunito? Non c’è dubbio, occorrono efficaci misure di “deterrenza” penale.

L’omicidio di Giovanbattista Cutolo rappresenta l’ennesimo fallimento dello Stato e degli enti locali che lo rappresentano e a niente valgono quelle parole di rammarico delle istituzioni che ci governano. Basta, servono i fatti. Questa volta siamo chiamati a fare delle scelte drastiche, senza sé e senza ma. Cambiare questa realtà nel breve periodo, con la riqualificazione del territorio, con scuole a tempo pieno, con progetti mirati e personalizzati non è abbastanza. Non siamo stati in grado di compiere sforzi sul patto educativo, di lottare contro la dispersione scolastica, di coinvolgere comitati civici in progetti di rigenerazione dei quartieri per consentire ai nostri ragazzi di stare lontano dalla malavita. Bisogna cambiare strategia, educare anche ai sacrifici e ai doveri e perché no, si potrebbe pensare di reintrodurre l’obbligo di servizio militare per quei giovani che potrebbero essere strappati alla delinquenza e criminalità. Quello di Piazza Municipio è un omicidio di camorra, figlio di quella “cultura” malata e quello che è avvenuto dovrebbe farci riflettere sul fallimento degli interventi che si mettono in campo nella strategia di contrasto ai modelli radicati delle associazioni a delinquere che sono presenti in troppi nuclei familiari e che alimentano le azioni nefaste di questi giovani. Non si tratta di essere né giustizialisti né garantisti. Si tratta semplicemente di ammettere una cruda realtà che è rappresentata dal nostro fallimento e di tutta quella società civile diventata ostaggio della criminalità organizzata. Giovanbattista era un ragazzo educato, aveva rispetto degli altri, coltivava un sogno e stava pensando di costruirsi un futuro. La sottocultura di Napoli lo ha ucciso. Questa è la Napoli a cui non vogliamo appartenere. Perdonaci Giogiò. Perdonaci tutti.