Domenica 18 Dicembre a Napoli è una splendida giornata di sole con un clima primaverile che ti richiama a passare il tuo tempo all’aria aperta, poi, se ciò coincide con l’ultima domenica prima di Natale e con una città zeppa di turisti è naturale ritrovarsi in una metropoli affollata in ogni suo angolo in un vero e proprio delirio di persone attratte in maniera trasversale da chiese e negozi, da monumenti e rosticcerie. Persone che hanno bisogno di muoversi, di spostarsi in una città che si espande orizzontalmente sulla linea costiera ma anche verticalmente sulle sue incantevoli colline. Spostarsi, muoversi, ma in che modo? E qui veniamo alle dolenti note e per spiegare cosa è il trasporto napoletano abbiamo scelto di farlo con una testimonianza diretta del redattore di questo articolo.

“Ore 11.15 circa, in giro per la città rigorosamente a piedi per l’acquisto dei regali di Natale, i marciapiedi brulicanti di turisti di ogni nazionalità mi riempiono il cuore di orgoglio partenopeo. Decidiamo, la mia consorte ed io, di spostarci da piazza Garibaldi a via Toledo ed il modo più semplice per farlo è quello di servirsi della linea 1 della metropolitana collinare. Scendiamo le scale che portano verso la metropolitana ed arrivati nei pressi dei tornelli ci guardiamo attorno per capire dove poter fare i biglietti. Ci sono due possibilità, un’edicola con una fila lunghissima di persone in coda e due emettitrici automatiche con una fila meno lunga. Scegliamo le emettitrici e subito mi rendo conto che una delle due è fuori servizio, ma ormai siamo incanalati e decido di attendere. Anziani, ragazzi, comitive, turisti stranieri, tutti alle prese con le istruzioni dell’infernale aggeggio, chi con carta di credito, chi con cellulare, qualcuno con l’orologio e gli indigeni tutti, o quasi, con contante cartaceo presi dal dubbio se la macchinetta distribuisse il resto. Insomma… solo per fare i biglietti se ne è andata la prima mezz’ora. Finalmente passiamo il tornello alle ore 12.03 e scendiamo giù sulla banchina ad attendere il treno. Troviamo già un numero sostanzioso di persone ad aspettare, segno che il treno già da qualche minuto non passa. Trascorrono i primi 10 minuti e del convoglio nemmeno l’ombra e le persone in banchina diventano sempre di più. Dopo 20 minuti ormai siamo accalcati in centinaia ma il treno non arriva ancora.

Alle 12.24 due fanali sbucano dal tunnel: eccolo l’oggetto del desiderio, ed il fremito di gioia che attraversa la schiena di tutti noi sembra unirsi diventando un suono di felicità. Dalla costipazione in banchina a quella dell’interno treno è un attimo, anche se più sopportabile dal fatto che a breve arriveremo alla nostra meta, almeno speriamo.

Ecco, si parte e mi rendo conto che a bordo ci sono più stranieri che italiani. Arriviamo alla prima fermata; il treno si ferma e contro ogni legge della fisica riescono ad entrare altre persone. Ma dove siamo? In quale stazione? Mi rendo conto che l’informazione acustica a bordo treno non funziona, allora tento di sporgermi vicino al finestrino per leggere sul muro in quale stazione siamo, ma la folla me lo impedisce, vado a memoria e ricordo che la prima dopo “Garibaldi” dovrebbe essere “Duomo” e mi impegno a contare le fermate per “incarrare” la mia fermata, quella di Toledo. Forse io ci riuscirò, ma gli stranieri a bordo come faranno? Boh.. Ne ho uno proprio a pochi centimetri dal mio viso e nei suoi occhi leggo la meraviglia e l’incazzatura di fronte a tale disorganizzazione ed allora il mio orgoglio partenopeo, quello delle 11,15, si trasforma in vergogna napoletana, aumentata dal fatto che in qualche modo sono un addetto ai lavori. Finalmente arriviamo a “Toledo” e mentre usciamo dalla bellissima stazione (che paradosso!) sono ormai le ore 13.00. Quasi 2 ore per poche centinaia di metri di binario.

“Questa esperienza domenicale mi riporta immediatamente alla differenza che esiste tra la teoria e la pratica. Spesso nel ruolo di sindacalista mi sono ritrovato al tavolo con i vertici aziendali ed istituzionali a parlare dei problemi del trasporto pubblico locale e sulle possibili soluzioni. Parlare, appunto, di cose di cui c’è una conoscenza teorica e non pratica. Mi piacerebbe, prima di una riunione importante, magari in Prefettura, invitare tutti gli astanti a fare un’esperienza dal vivo del disagio. Mi piacerebbe fare un viaggio, con il Prefetto, con il Sindaco, con l’Assessore ai Trasporti, con l’Amministratore Delegato ed il suo Direttore Generale, partendo una mattina verso le 7.00 dalla stazione di Chiaiano, iniziando proprio dall’acquisto del titolo di viaggio che sembra una operazione facile ma che così non è, per poi viaggiare incastonati tra studenti e pendolari vittime giornaliere di quel pessimo servizio, facendo poi ritorno dall’altro capo della linea all’orario in cui i turisti iniziano ad affollare i treni. Ecco, questa sarebbe sicuramente un’esperienza che indicherebbe a tutti coloro che sono deputati a trovare soluzioni la via più giusta e forse anche la più veloce. Teoria e pratica dunque, insieme, perché in fondo, come ci ricorda il giovane scrittore Luca Madiai, la teoria e la pratica sono una cosa sola, la teoria senza la pratica è puro esercizio spirituale, la pratica senza  teoria è l’agire inconsapevole.