Sulla collina di San Potito c’è una bellissima chiesa, un luogo sconosciuto a molti visitatori della città partenopea, la chiesa di San Giuseppe dei Nudi chiusa da oltre tre secoli e di recente visitabile durante eventi programmati, costruita sui resti di un convento agostiniano del ‘500. Una chiesa che rappresenta un vero e proprio scrigno di tesori e ricchezze straordinarie. Affascinante la sua architettura, suggestivi gli affreschi e la sua sagrestia, con la collezione di ritratti di sovrani borbonici, papi e cardinali, il giardino settecentesco, piacevole frammento di una Napoli ancora “imprevista”, l’oratorio e le altre sale. La chiesa venne eretta tra il 1750 e il 1756 su progetto dell’architetto Del Gaizo e poi rimaneggiata nel 1888 da Luigi Angiolia.

Proprio in questo edificio sacro, oltra a preziosissimi cimeli, grandi pale d’altare, affreschi ed arredi strabilianti, è conservata un’importante reliquia, il bastone appartenuto a san Giuseppe, un tesoro di straordinaria importanza più comunemente conosciuto come la “Mazzarella” di san Giuseppe ancora oggi oggetto di culto e devozione popolare. Molto noto infatti al popolo napoletano è l’antico detto “nun sfruculià ‘a mazzarella ‘e San Giuseppe” e la storia, che unisce in un racconto incredibile l’Inghilterra, Venezia e Napoli, narra che Don Giuseppe Grimaldi, famoso cantante lirico napoletano del ‘700, chiese in dono ai nobili inglesi il bastone appartenuto San Giuseppe che portò poi a Napoli nel 1795. Questo bastone è una delle tante reliquie di santi che hanno fatto il giro d’Europa nel basso medioevo, esposte in cappelle private di nobili o in chiese cittadine. Secondo alcuni vangeli pare che San Giuseppe fosse particolarmente vecchio quando nacque Gesù e camminava aiutandosi con un bastone, proprio quel prezioso oggetto successivamente fiorito alla notizia della gravidanza di Maria e che da sempre l’iconografia cristiana ci ha abituati a vedere tra le mani del santo. La famosa reliquia fu poi esposta alla venerazione dei fedeli nel salotto di palazzo Cuomo, alla Riviera di Chiaia. Ogni anno, il 19 marzo, in occasione della festa di San Giuseppe, accorreva una moltitudine di persone ad accarezzare il Sacro Bastone del Santo, tutti alla ricerca della reliquia miracolosa. Alcuni cercarono di rubarlo, altri staccavano piccoli pezzettini di legno, altri ancora lo accarezzavano con le mani, usurando inevitabilmente il legno.

Don Giuseppe Grimaldi notò che ad ogni carezza dei fedeli il bastone perdeva di volume e per tentare di limitare i danni dispose che un guardiano, di origini veneziane, vigilasse sulla sacra reliquia. Il servitore, esasperato dalla folla che ogni giorno invadeva il luogo dove era serbato il bastone, perdendo la pazienza urlò ai fedeli in perfetto napoletano misto ad accento veneto di “Nun sfruculià ‘a mazzarella ‘e San Giuseppe”. Da qui la nota espressione usata ancora ai giorni nostri e rivolta a chi è un provocatore per natura, per indicare appunto che non bisogna abusare della pazienza altrui, facendo riferimento alla classica iconografia cristiana del santo in questione, tratteggiato sempre come un uomo pacato e gentile ed ovviamente avente un bastone di legno sul quale era solito reggersi. Indubbiamente nel nostro modo quotidiano di esprimerci sovente ci avvaliamo di frasi o parole in napoletano che ben rendono l’idea di quanto stiamo asserendo, pur non sapendo esse da cosa derivino, o meglio da dove son spuntate fuori. Le fantasiose metafore inventate dai napoletani sono dei veri e propri insegnamenti di vita, delle iperbole verbali, invenzioni lessicali che ben esprimono concetti semplici. Oggi sappiamo con sicurezza che se qualcuno esorta a non sfruculiare la mazzarella ammonisce semplicemente a non provocare e punzecchiare e di sicuro sappiamo che questa mazzarella è esistita ed è conservata proprio qui a Napoli, non rischia più di essere sfruculiata, protetta da una teca di legno cedrino e visibile in occasioni speciali.