Si sta molto discutendo, in questi ultimi mesi, sulla natura pubblicistica delle Port Authority italiane e molti credono che in un prossimo futuro alla guida degli scali italiani dovranno esserci soggetti diversi dagli attuali enti pubblici non economici. Il pretesto della discussione nasce dalla “Decisione” della Commissione Europea, emanata il 4 dicembre 2020, nella quale si sostiene che l’esenzione dall’imposta sul reddito delle società a favore delle Autorità di Sistema Portuale italiane costituisce un aiuto di Stato, ai sensi del TFUE, ed è incompatibile con il mercato interno. I porti italiani, coordinati dall’associazione di settore Assoporti, hanno comunque depositato, ad aprile scorso, il ricorso al Tribunale dell’Unione Europea spiegando le motivazioni per le quali l’attuale sistema di detassazione non può essere considerato alla stregua di un aiuto di Stato partendo da una considerazione fondamentale, ovvero che la natura giuridica delle AdSP è pubblica. Nel merito occorre ricordare che gli attuali Enti di governo dei porti sono enti pubblici non economici di rilevanza nazionale, dotati di autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare, di bilancio e finanziaria. Pertanto non sono imprese e non svolgono attività economiche. Il rilascio di concessioni portuali da parte delle Autorità è, infatti, un’attività di regolamentazione finalizzata ad un’assegnazione più produttiva delle infrastrutture portuali nell’interesse della comunità portuale.

Va anche detto che, a livello europeo, non esiste una normativa unica: gli Stati membri hanno previsto modelli di sistemi di gestione ed organizzazione della governance del settore portuale molto diversi tra loro e l’Italia ha, da sempre, preferito un modello di gestione pubblicistico; in altri Paesi, quali ad esempio Francia, Belgio e Olanda, esistono invece delle società per azioni che gestiscono commercialmente gli scali e talvolta svolgono operazioni e servizi portuali. Tant’è vero che i porti di Rotterdam, Amburgo, Anversa, sono soggetti pensati per lavorare in modo imprenditoriale. A prescindere dall’esito giudiziale della vicenda, di cui si attendono notizie a breve, questa sembra essere stata l’occasione per effettuare una riflessione su quale potrebbe essere il modello migliore per la governance dei porti italiani. Assoporti ha infatti dato vita ad una commissione di esperti del settore per studiare quale potrebbe essere il migliore assetto organizzativo, soprattutto da un puto di vista di natura giuridica, per gestire i porti italiani. Le alternative in campo sembrano essere tre: un modello di Società per Azioni a controllo pubblico, la trasformazione delle Autorità di Sistema in Enti pubblici economici e ancora il potenziamento dell’ordinamento speciale attribuito alle port authority con la riforma della L. 84/94. Molti presidenti delle attuali AdSP e alcuni tra i massimi esperti del settore portuale italiano, convinti che la natura giuridica delle autorità portuali in Italia non sia più compatibile con la situazione e i compiti attuali, sembrano essere diventati sempre più favorevoli al modello della società per azioni in mano pubblica, seguendo il format del gruppo Ferrovie dello Stato, lasciando così alle authorities la velocità e il dinamismo propri delle S.p.A..

In realtà occorre agire con molta cautela perché le Autorità di Sistema svolgono ruoli di natura pubblicistica per la tutela dell’interesse pubblico che, con la forma della società per azioni, potrebbero subire profonde limitazioni. La soluzione potrebbe allora essere quella di introdurre una norma speciale nell’ambito della trasformazione in società per azioni che consenta di poter continuare ad esercitare un ruolo pubblicistico con perimetri molto ben definiti. Tuttavia le organizzazioni confederali dei trasporti sono molto preoccupate e sottolineano che una trasformazione delle AdSP implicherebbe uno stravolgimento del nostro ordinamento, andando a snaturare il ruolo di terzietà di questi Enti a scapito della concorrenza e delle tutele dei Lavoratori. Non va sottaciuto, infatti, che gli effetti di una privatizzazione dei porti potrebbero essere rovinosi alimentando una concorrenza spietata tra scali italiani e, ancor peggio, favorendo una competizione selvaggia tra gli operatori di un medesimo porto, con conseguenze negative dirette sul mondo del lavoro. Questo punto è molto chiaro alle Organizzazioni Sindacali che stanno cercando di difendere la natura pubblicistica delle Autority portuali italiane. Come recentemente sostenuto dal Segretario Generale della Uiltrasporti, Claudio Tarlazzi e dal Segretario Nazionale Marco Odone “non arretreremo mai dalla nostra posizione, nella convinzione che un’Autorità di Sistema Portuale di natura privatistica, pensata per lavorare esclusivamente in un’ottica imprenditoriale, rappresenti un pericolo per la tenuta e la crescita di tutto il sistema portuale. In uno scenario mondiale in cui le compagnie di shipping hanno perfezionato strumenti con i quali cercano di controllare interi segmenti della filiera logistica terrestre delle merci, quel che occorre ai traffici molto contendibili dei nostri porti è uno sviluppo di sistema dell’intera portualità italiana, realizzabile solo con autorità di controllo pubbliche caratterizzate da terzietà e coordinate a livello centrale nazionale”.

Claudio Tarlazzi in vari interventi e in un’intervista rilasciata di recente durante la trasmissione Agorà ha sottolineato la necessità di difendere la natura pubblicistica delle AdSP per non rischiare di vedere smantellata la disciplina portuale che ha reso i porti resilienti in questi anni difficili di pandemia. “Se si pensa che le AdSP devono essere considerate come delle imprese private” ha sottolineato Tarlazzi “si rischia di incappare nelle regole e nei vincoli degli aiuti di Stato. Salta così un meccanismo di pianificazione e infrastrutturazione in un momento in cui i porti devono essere l’elemento trainante per lo sviluppo di questo Paese. La destrutturazione del sistema portuale – prosegue il Segretario – rischierebbe di generare le stesse criticità che stiamo vivendo con il modello aeroportuale, in cui la mancanza di regole ha favorito una concorrenza distorta causando la crisi di molte aziende del settore. Sarebbe invece più auspicabile togliere le Asdp dall’elenco Istat delle amministrazioni pubbliche e snellire le procedure per facilitare gli adempimenti strutturali”. La querelle sembra ancora lontana da una univoca soluzione, il problema che desta maggiore preoccupazione è che la rapidità dei mutamenti economici e strategici del nostro Paese richiede una flessibilità decisionale da parte delle Autorità di Sistema Portuale che probabilmente confligge con l’attuale assetto pubblicistico. Tuttavia, occorre tenere ben presente che gli enti di governo dei porti sono stati qualificati come enti pubblici economici a ordinamento speciale e forse dando un’interpretazione più ampia alla legge 84/94 e proprio all’ordinamento speciale ciò potrebbe, senza mutare la natura delle Port Authority, liberarle da alcuni vincoli consentendo maggiore libertà di azione.