Una pellicola dal marchio meridionale che mostra un profilo di Napoli affascinante e dalle mille sfumature, un racconto autobiografico che ha fatto tanto parlare e che continua a riscuotere gran successo. Il film del regista partenopeo Paolo Sorrentino, “È stata la mano di Dio” è stato selezionato per rappresentare l’Italia agli Oscar 2022 nella categoria miglior film straniero. «Un film di Sorrentino su Maradona», così hanno pensato in tanti avventatamente appena il titolo è uscito fuori, ma si sa, i titoli dei progetti di Sorrentino sono sempre fuorvianti. Questa pellicola intima e suggestiva è altro, ha il sapore di una struggente e meravigliosa lettera d’amore nei confronti non solo di Maradona ma anche e soprattutto del cinema e della città di Napoli. Quella che traspare in questo capolavoro è una città in pieno delirio calcistico, bella, aristocratica, superstiziosa, tutta concentrata nei suoi miti. Sin dall’inizio del film si resta con il fiato sospeso con l’inquadratura del mare, simbolo di spensieratezza e libertà, di una città meravigliosa che appare sempre più bella all’avvicinarsi del Golfo con il suo lungomare, vuoto e solenne.

E con il mare si conclude una delle ultime scene del film che presenta una prospettiva meravigliosa della città partenopea: angoli della città, da quelli più celebri a quelli meno convenzionali, sembrano brillare sotto i riflettori delle telecamere che riescono a dare lustro ad una città che possiede in sé il sacro e profano, colma di quelle contraddizioni che la caratterizzano da sempre. La storia è quella Fabietto, un ragazzo nella turbolenta Napoli degli anni Ottanta che si trova a vivere tra vicende cosparse di gioie inattese, prima fra tutte l’arrivo della leggenda e del re del calcio, Diego Armando Maradona, il tutto alternato a eventi tragici altrettanto inattesi. Sorrentino torna nella città natale per raccontare la sua storia personale, un racconto di destino e famiglia, sport e cinema, amore e perdita. Fabietto vive con una domanda che inquieta le sue notti da adolescente, Maradona arriverà a Napoli?, un interrogativo che tiene in trepida attesa un’intera città che si sa quanto vive per la sua squadra, ama il suo calcio, adora i suoi giocatori e venera il Pibe de Oro, il grande Maradona, il profeta che prenderà per mano la sua squadra e la porterà alla conquista dell’agognato scudetto. Fabietto è un giovane che vive con la sua famiglia, innamorato del calcio e ben presto si troverà ad essere turbato dal personaggio di Patrizia, l’affascinante zia che entrerà prepotentemente nei sogni erotici del giovane. Due sono i momenti fondamentali della vita del protagonista concatenati tra loro: il destino che l’ha salvato dalla tragedia che colpisce i suoi genitori e la passione per il grande calciatore argentino. È proprio quando sembra che la sua vita vada a gonfie vele che il destino gli si ritorce contro, la morte dei genitori lo costringe a fare i conti con la solitudine di chi ancora non ha trovato un posto ben preciso nel mondo. Fabietto imparerà, così, a sue spese, a restare solo, ad avere il primo impatto con un’improvvisa libertà, a crescere, entrando con impeto nell’età adulta, diventando finalmente Fabio.

La pellicola incalza con scene di grande respiro, l’estate fatta di gite in barca con l’intera famiglia, pranzi, mare, speranze e il tutto cambia poi nella seconda parte del film dove incalza una realtà drammatica e dolorosa, con scene più cupe, con una realtà crudele che stravolge ogni cosa, cosicché il protagonista è costretto a rivisitare la sua vita e a considerarsi non più spettatore, ma regista. È durante un week end nella casa di villeggiatura di Roccaraso che i genitori di Fabio perdono la vita a causa della fuoriuscita di monossido di carbonio, pensare che il protagonista doveva essere anche lui in quel posto, ma la sua fede calcistica lo salverà, perché resterà a Napoli a veder giocare Maradona, il suo salvatore, il Messia, “è stata la mano di Dio, Maradona gli ha salvato la vita”. Ed è così che Fabio maturerà un’idea ben precisa della sua vita. Non a caso il film inizia con questa frase del Pibe de Oro: “Ho fatto quello che ho potuto, non credo di essere andato così male“. E anche questa volta il fuoriclasse del pallone, D10S, ha salvato la vita al giovane Fabio. Dialoghi, testo, sceneggiatura, il tutto di una semplicità inaudita e pervaso da grande realismo; del resto i risultati brillanti arrivano spesso attraverso prodotti semplici e immediati che dimostrano sin da subito il valore tecnico dell’opera. Impossibile non simpatizzare per il protagonista, alter ego di Sorrentino, impossibile non restare affascinati dai profili dei personaggi che incarnano un realismo quasi sconcertante, proiezioni della sua stessa vita. È proprio vero, il regista partenopeo non ne sbaglia nemmeno una..