Una storia avvincente, un romanzo che ripercorre la vita di Arturo Gerace, un ragazzino orfano di madre che vive insieme a suo padre, Wihelm Gerace, metà tedesco e metà napoletano, in un castello dell’isola di Procida. “L’isola di Arturo”, il celebre romanzo di formazione di Elsa Morante è ambientato nel 1938: il giovane protagonista, che ha il nome di una stella, cresce in solitudine sulle spiagge della sua isola natale, con un padre assente, impegnato per lavoro nei suoi lunghi viaggi. Ad Arturo non resta da fare altro che vivere nella sua isola e inventare mille storie per idolatrare la figura del padre che gli fa visita sporadicamente. Arturo è un bambino che sogna ad occhi aperti: legge romanzi cavallereschi e ha solo due amici, il suo cane “Immacolatella” e un bambino di nome Silvestro. Di sua madre, morta per metterlo al mondo, conserva solo una foto scolorita che serba con cura e nella sua testa, quella donna che il destino gli ha sottratto, è la sua eterna regina. Da qui partono i suoi ricordi che spaziano lungo la linea della sua esistenza, tra amicizie, amori e illusioni. La voce narrante di questo affascinante romanzo è proprio quella di Arturo, che attraverso i suoi ricordi mostra la perfetta sintonia della sua solitudine e inquietudine interiore che sovrasta un ambiente selvaggio in cui cresce ammaliato dal fascino di un’isola incontaminata. Difficile non immedesimarsi, durante la lettura delle pagine di questo libro, nella storia del protagonista che rivela tutta le sua forza superando il momento più difficile della sua vita, l’adolescenza. Una storia semplice, quella che appartiene ad ognuno di noi, che durante la fase di crescita personale ci induce alla consapevolezza di quanto sia difficile superare le difficoltà psicologiche di una fase critica adolescenziale, soprattutto poi quando mancano quelle figure genitoriali che rappresentano il vero caposaldo dell’esistenza. Arturo è costretto a crescere da solo, a farsi da madre e padre, a vivere le proprie esperienze senza potersi confrontare con nessuno, vivendo il suo primo amore, i suoi desideri, i suoi sogni, la sua sofferenza e disperazione.

“Tutti sarebbero belli, liberi e spensierati, e amarsi vorrebbe dire soltanto: rivelarsi, l’uno all’altro, quanto si è belli. L’amore sarebbe una delizia disinteressata, una gloria perfetta: come guardarsi allo specchio; sarebbe… una cattiveria naturale e senza rimorso, come una caccia meravigliosa in un bosco reale. L’amore vero è così: non ha nessuno scopo e nessuna ragione, e non si sottomette a nessun potere fuorché alla grazia umana.”

La solitudine fa da padrone in questo intenso romanzo: un’inquietudine interiore accompagna il personaggio fino al compimento dei 16 anni, momento in cui Arturo decide di lasciare l’isola. La dimensione di tutto il romanzo è mitica, a tratti fiabesca e accompagna la maturazione di Arturo in un percorso di crescita non privo di scoperte dolorose e traumatiche. E in ogni pagina di questo capolavoro letterario emerge forte il grande spessore della scrittrice romana: elementi realistici e fiabeschi, suggestione di un linguaggio che sebbene sia semplice, risulta meticoloso e preciso, capace di cullare il lettore ma destarlo con improvvise parti introspettive e descrittive.

“I miei occhi e i miei pensieri lasciavano il cielo in dispetto, riandando a posarsi sul mare, il quale, appena io lo riguardavo, palpitava verso di me, come un innamorato.
[…]
Esso mi ripeteva che anche lui, non meno dello stellato, era grande e fantastico, e possedeva territori che non si potevano contare, diversi uno dall’altro, come centomila pianeti!
Presto, ormai, per me, incomincerebbe finalmente l’età desiderata in cui non sarei più un ragazzino, ma un uomo; e lui, il mare, simile a un compagno che finora aveva sempre giocato assieme a me e s’era fatto grande assieme a me, mi porterebbe via con lui a conoscere gli oceani, e tutte le altre terre, e tutta la vita!”

La vita di Arturo continua a deluderlo con l’amore non corrisposto di Nunziata e la relazione con Assuntina, un’amica di lei, ma nemmeno questa nuova situazione sentimentale riesce a donare l’equilibrio al giovane. A rendere ancora più difficile la situazione è la relazione difficile con il padre, quando Arturo scopre che l’uomo non compie imprese leggendarie ma si reca a Napoli per lavoro e quando comprende soprattutto che la sua moralità è tutt’altro che integra. Deluso da tutto decide così di abbandonare l’isola e rifarsi una vita, di intraprendere la carriera militare e quando abbandona Procida, a bordo di un battello, evita di guardare la sua terra natia in un compianto solitario e doloroso.

L’isola di Arturo è un vero gioiello letterario, un racconto di purezza, turbamenti, crescita interiore e forza di sentimenti. Ogni parola al posto giusto, ogni termine scelto alla perfezione. Merito della Morante che è riuscita a far amare l’isola di Arturo prima ancora che per la storia, per la modalità in cui è descritta. Lasciarsi trasportare dalle pagine di questo libro e immergersi in questa storia è quanto di meglio si possa fare.