Il prossimo 8 novembre sarà sciopero nazionale dei servizi ambientali per il rinnovo del Ccnl. In altri articoli pubblicati su Articolo16 abbiamo già spiegato dettagliatamente le motivazioni dello sciopero e l’ostinazione di Utilitalia, di Fise Assoambiente e delle altre Associazioni di imprese che puntano a riduzioni generalizzate del costo del lavoro, ad alleggerire le buste paga e ridurre gli investimenti per la sicurezza e per l’innovazione tecnologica, ad ottenere una flessibilità incontrollata, ad aumentare la precarizzazione del lavoro, a comprimere i diritti e indebolire la legittimità dello strumento contrattuale marginalizzando il ruolo del Sindacato. Abbiamo dettagliatamente descritto le richieste di segno posto fatte dal Sindacato: più investimenti e più formazione per la sicurezza, più investimenti per lo sviluppo tecnologico, un sistema di relazioni sindacali più inclusivo che renda i lavoratori più partecipi delle scelte organizzative, un adeguato aumento degli stipendi e il rafforzamento della contrattazione aziendale per coniugare al meglio le esigenze di produttività delle imprese e la valorizzazione, anche economica, del contributo apportato dai lavoratori.

Come dicevamo in altri articoli, più che di una vertenza su rivendicazioni particolari si tratta di un confronto tra culture, tra modi diversi di intendere il lavoro e la sua centralità. Da una parte il Sindacato sostiene lo sviluppo industriale del comparto e vuole favorire lo svecchiamento di organici sempre più anziani, spesso in precarie condizioni di salute dopo anni di un lavoro fisicamente impegnativo e spesso appesantito da automezzi ed attrezzature inadeguate. Dall’altra le imprese che vorrebbero condannare il comparto ad un futuro di nanismo industriale, privilegiando gli interessi di pochi senza tener conto degli interessi dei lavoratori e dei cittadini. È una contraddizione che registriamo in Asia Napoli e in quasi tutte le ditte private che operano nell’area metropolitana di Napoli, ma che in SapNa diventa ancor più evidente e insopportabile.

SapNa è la Società, di proprietà della Città Metropolitana di Napoli, che gestisce gli impianti per il trattamento dei rifiuti sui nostri territori. Un’attività che pone gli impianti STIR di Giugliano e Tufino, insieme a decine di altri siti, al centro del ciclo integrato dei rifiuti in ambito metropolitano.

La Legge Regionale n.14 dell’aprile 2016, con cui l’Ente di Via Santa Lucia ha ridisegnato il ciclo integrato dei rifiuti nella nostra Regione, in coerenza con le norme nazionali che riconducono ai Comuni ogni responsabilità in materia di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti, ha previsto che la gestione degli impianti di SapNa sia affidata direttamente agli ATO Na1, Na2 e Na3. Si tratta dei tre Ambiti Territoriali Ottimali in cui sono stati raggruppati, per il ciclo dei rifiuti, i territori dell’area metropolitana di Napoli.

Attratti dal miraggio di realizzare profitti mettendo da parte ogni idea di solidarietà tra territori e qualsiasi idea di sviluppo industriale del sistema di smaltimento dei rifiuti, alcuni cavalcano da tempo l’idea di spacchettare SapNa per appropriarsi solo della sua parte più ricca rappresentata dagli impianti STIR. A poco sono servite le trattative che da un tempo infinito impegnano i Sindacati che, nel confronto con gli Ato e con Città Metropolitana e con un primo sciopero consumato il 13 aprile di quest’anno, rivendicano un futuro di consolidamento e di sviluppo per SapNa. Nonostante gli accordi sottoscritti per una transizione non traumatica della Società verso il nuovo ciclo integrato dei rifiuti, che ne preservi l’integrità per consentire lo sviluppo di un’importante realtà industriale e la tutela di tutti i posti di lavoro, continuano i tentativi di trasformare la SapNa in uno spezzatino che risulterebbe molto indigesto per i cittadini e per i lavoratori.

Spacchettare SapNa, infatti, non significherebbe soltanto smontare l’unica realtà industriale che si occupa di smaltimento dei rifiuti in ambito metropolitano, aprendo le porte alla possibile penetrazione di capitali e interessi oscuri che hanno poco a che vedere con l’attuale controllo pubblico su un settore così strategico per le nostre comunità. Significherebbe anche scrivere la parola fine sui progetti già presentati dalla Società per accedere ai fondi del PNRR e della Comunità Europea, rimodernare gli impianti esistenti e realizzarne di nuovi, necessari soprattutto per superare i forti limiti nello smaltimento della frazione organica che, ancora oggi, viene inviata fuori regione con grande spreco di risorse pubbliche che vengono innanzitutto dalle tasche dei cittadini.

Spacchettare SapNa significherebbe, sostanzialmente, tornare ad un passato troppo simile a quello che si concluse con i peggiori momenti dell’emergenza in Campania e che produsse soltanto danni all’ambiente, gravi problemi per la salute dei cittadini e sofferenze indicibili per migliaia di lavoratori, compresi quelli dei Consorzi di Bacino che proprio in SapNa hanno ritrovato un’occupazione stabile, necessaria per sostenere il ciclo dei rifiuti, economicamente sostenibile per la Società ed i cittadini.

Ogni evidenza, quindi, dovrebbe indurre a ritenere la SapNa l’architrave su cui costruire il nuovo sistema di smaltimento dei rifiuti in ambito metropolitano. Eppure c’è chi ancora continua ad arrampicarsi sugli specchi con fantasiose analisi su una pretesa insostenibilità economica delle attività aziendali, nonostante gli interventi della Regione che hanno consentito di rimettere in ordine i conti della Società. Conti che, ennesima contraddizione, erano stati appesantiti soprattutto dal mancato pagamento degli oneri di smaltimento proprio da parte di molti comuni che, magari, condividono la linea di chi oggi vorrebbe spacchettare la società per appropriarsi degli impianti ritenuti più appetibili.

Oggi quella linea è interpretata soprattutto dai rappresentanti dell’ATO Na3 che, con una delibera del Consiglio d’Ambito approvata in sordina alla fine di luglio, ripropone l’idea di spacchettare SapNa e di sostituirla inventando dal nulla piccole società, nuovi nani industriali più simili a carrozzini che ai carrozzoni d’altri tempi. Ancora una volta il Sindacato si è opposto e si oppone con le armi della democrazia a questi insensati tentativi. Un nuovo sciopero, effettuato il 24 settembre di quest’anno, ha visto un’adesione che ha superato il 90% dei lavoratori ed ha ridato forza ad una parola d’ordine semplice e chiara: giù le mani dalla SapNa!

Lo sciopero nazionale dell’8 novembre, quindi, si colloca al centro della vertenza SapNa per una coincidenza di tempi e di obiettivi. Di tempi, perché arriva a poche settimane dall’ultimo sciopero effettuato e poche settimane prima degli scioperi che saranno sicuramente proclamati fino al ritiro della famigerata delibera dell’ATO Na 3. Di obiettivi perché rappresenterà, nell’ambito di una mobilitazione nazionale che punta a rafforzare il Ccnl per sostenere lo sviluppo industriale del comparto e la centralità dell’impiantistica nel ciclo integrato dei rifiuti, un’opportunità di lotta e di protagonismo per i lavoratori di SapNa che a quegli scenari di sviluppo industriale legano il destino del proprio lavoro e della stabilità della propria famiglia.