Sulla farraginosa vicenda Alitalia, tanto si è scritto ed altrettanto si è letto, rincorrendo un’infelice pagina di enorme risonanza che seppure sconvolge non poco gli animi di un vasto pubblico nazional popolare, mai giunge ad una risoluzione incisiva. Ancora oggi dopo il definitivo cambio di denominazione in “Ita” acronimo di “Italia Trasporto Aereo”, la tanto agognata discontinuità col passato che auspicava una ripartenza in totale serenità, si è rivelata la solita falsa promessa il cui prezzo da pagare è sempre quello in termini di tagli del personale.

Una compagnia la cui sorte viene mercanteggiata da anni al miglior offerente in un continuo imbastire tavoli d’intese nazionali e comunitarie dove purtroppo ad ogni slancio di positiva accelerata seguono nel concreto pochissimi atti di fattiva realizzazione. E così sul binomio “Good Company” e “Bad Company”, privatizzazione e ruolo strategico dello Stato, prosegue un amaro tiro alla fune dove tutti indignati osservano e pochissimi coraggiosi parlano.

Ad oggi la compagnia aerea di bandiera, stalla in una fase di mite incertezza che, da un lato ha rabbonito e tranquillizzato i pochi “eletti”, circa 3.000 assunti, e dall’altro inquieta le sigle sindacali ed i loro relativi lavoratori iscritti, il cui futuro resta ancorato alle nuove puntate di una sterile fiction all’italiana. La scelta strategica di concentrarsi solo sul settore aviation lasciando fuori handling e manutenzione ha inesorabilmente trascinato dietro di sé migliaia di risorse con le loro professionalità ed esperienze costruite in decenni di continui stravolgimenti ed incertezze operative.

Il senso civico nazionale ci impone una riflessione su queste tematiche, che seppure sembrano a noi lontane e da molti cittadini vengono recepite come mere notizie del giorno delle testate giornaliste e dei telegiornali, devono indurre quantomeno a pensare a quanto l’inerzia burocratica del susseguirsi dei vari governi, nonché la lungaggine delle scelte decisive, penalizza e mortifica vite umane il cui diritto al lavoro e tutto ciò che ne comporta in tale scenario diventano argomentazioni di marginaria importanza invece che elementi fondamentali di dignità personale.

E’ dovere dei sindacati tutelare i livelli occupazionali poiché è su questo presupposto basilare che si incardina la loro “mission” nonché tutta la credibilità dell’erigersi quali portavoce dei loro iscritti con le relative rimostranze. Insistere e perseverare affinché ci sia ascolto costruttivo tra le parti ed accordi chiari ma soprattutto celeri dove la “ripartenza” non sia fatta di “voli pindarici” ma di operatori che scendono a lavoro certi che quest’ultimo, in un modo o nell’altro, gli sarà sempre garantito a prescindere dall’avvicendarsi dei ciclici fisiologici mutamenti dei vertici aziendali.