Tre morti al giorno, novanta morti ogni mese, più di mille all’anno e non è un bollettino di guerra ma il report dell’INAIL relativo alle “morti bianche”, quelle sul lavoro. Di lavoro si dovrebbe vivere e non morire, ma purtroppo ciò che è sotto gli occhi di tutti non ci dice questo.
Tre, novanta, mille, freddi numeri che non possono nascondere il dolore verso chi di lavoro, invece di vivere, muore. Non possono contenere lo strazio delle famiglie che molte volte non perdono solo un loro amato ma anche la certezza di un futuro economico. Numeri che non possono sostituire i nomi che si celano dietro di loro, Luigi, Salvatore, Morena, Carlo, Dumitru, Rosetta e tanti altri, troppi altri, anche se, se ne fosse solo uno, già sarebbe una sconfitta.
Numeri che tendono a nascondere i volti, le storie, la vita che ognuno di loro aveva. Numeri che hanno inquinato la sensibilità di tutti noi abituati ormai a leggere dai giornali, ogni giorno, che si aggiunge un altro numero alla lista delle morti “bianche”.
“Zero morti” è l’utopico obiettivo che la UIL ha messo al centro della sua agenda, una frase che a primo acchito può sembrare un semplice slogan che invece ha una funzione di stimolo verso le addormentate coscienze di tutti noi. E da quello stimolo che anche chi scrive si è concentrato su quei numeri, più di mille vittime ogni anno e centinaia di migliaia di feriti, anche gravi. Basta iniziare una semplice ricerca su Google per aprire gli occhi, basta scrivere nel motore di ricerca “morti da infortunio sul lavoro” e si spalanca un mondo imbattendosi in siti che riportano i nomi delle vittime, la data dell’incidente con la sua descrizione, elencandoli cronologicamente, anno per anno, in quel preciso istante il n.93, il n.150, il numero 1.200, diventano Fabio, Vera, Andrei, in quel preciso istante ti rendi conto che bisogna fare di più, perché si può sempre fare di più, sempre. Immediatamente il pensiero va alle norme contenute nell’enciclopedico Decreto Legislativo 81 del 2008, il cosiddetto Testo Unico Salute e Sicurezza, ed allora inizi a pensare perché nonostante questa copiosa normativa in Italia si continua a morire sul lavoro così tanto e la prima risposta che viene spontanea è la non corretta applicazione delle norme, trascurate per convenienza o per inadeguatezza.
Partendo dalla convenienza è facile arrivare immediatamente al profitto economico che il datore di lavoro ha nel risparmiare sulla sicurezza, un profitto effimero ma immediato, una prassi che si fonda sulla certezza di controlli inadeguati e su eventuali contestazioni pecuniariamente irrilevanti, una sistema che consente di approcciare alle fasi di acquisto, progettazione e piani industriali con il solo scopo di un beneficio economico che mette nel conto anche i costi della mancata sicurezza, ripercorrendo il concetto di cui sopra in cui si parla di numeri e non di donne o uomini.
L’inadeguatezza, invece, sta nel fatto che la capacità di azione di coloro che sono preposti al controllo, tra cui assumono un ruolo importante gli RLS, è limitata ma soprattutto postuma a scelte già fatte dal datore di lavoro, infatti il campo di azione degli organi di controllo è a valle dei processi aziendali, un’azione che si limita alla verifica della corretta applicazione del Dlgs 81 ed alla eventuale denuncia di non ottemperanza. Forse è venuto il momento di fare un salto culturale sulla materia costruendo, per coloro deputati al controllo, un percorso che parta dalle origini delle scelte, quindi coinvolgendo direttamente la rappresentanza dei lavoratori all’interno dei processi decisionali, magari attraverso un obbligo legislativo di costituzione in ogni azienda e per ogni datore di lavoro di un organo paritetico che sovrintenda tutte le scelte di acquisto del materiale, della progettazione, delle strutture lavorative, dell’elaborazione dei piani industriali. Un organo a cui partecipi il RLS con potere di veto in caso di soluzioni non adeguate alla sicurezza dei Lavoratori.
E’ chiaro che la figura dell’RLS andrebbe ripensata, il rappresentante della sicurezza dovrebbe assumere all’interno delle Organizzazioni Sindacali un ruolo di preminenza uscendo dalle logiche desuete che chi non riesce a diventare RSU si accontenta di diventare RLS, perché dobbiamo dirlo con franchezza facendo un po’ di autocritica, molte volte è proprio così. L’RLS invece dovrebbe essere formato non solo attraverso i percorsi già definiti dal Dlgs 81, ma anche soprattutto all’interno delle Organizzazioni Sindacali, una formazione continua di qualità che riesca ad individuare chi ha le caratteristiche per questo ruolo così difficile, un ruolo tecnico e non politico, ed è per questo che l’RLS dovrebbe essere nominato dal Sindacato. Infatti, così come avviene per le altre nomine tecniche all’interno delle organizzazioni come i dipartimentisti, l’RLS adeguatamente formato, dovrebbe essere indicato e monitorato dalle strutture sindacali che, nel caso di inefficienza o inadeguatezza al ruolo, devono essere messe in condizioni di poterlo sostituire in qualsiasi momento evitando la condizione attuale che vede in carica l’RLS per tutto il mandato elettorale. Questa, di primo impatto, potrebbe sembrare un proposta anti democratica, ma ragionandoci bene forse è l’unica soluzione operativa per rafforzare quel ruolo così importante. Quante volte abbiamo visto eleggere RLS che con il loro bagaglio di empatia accompagnato spesso da una piacevole dialettica, una volta eletti non svolgono come dovrebbero il proprio ruolo? Ecco questo andrebbe evitato, poiché è proprio su questo che contano quegli imprenditori che scientemente antepongono il guadagno alla sicurezza.
Un salto culturale dunque, che ci incoraggi a fare scelte anche impopolari, dei cambiamenti per uscire dall’empasse attuale che vede l’Italia relegata ai primi posti nelle classifiche europee per questo triste primato, una vera e propria guerra tra il Dio Denaro e la Vita, una guerra che abbiamo il dovere di vincere perché di lavoro bisogna vivere e non morire, ricordandoci non dei numeri ma dei nomi e dei volti di Piero, Anna, Gennaro, Maria, Giovanni…Luana.
“Eccolo il Dio dei denari che brucia vite e ne fa scorta, macchina viva, carne morta. Non tutti gli umani sono uguali. Eccolo il Dio dei denari” cit. Marco Rovelli.