Negli ultimi anni il tema della previdenza complementare è tornato di moda ed è diventato centrale nel dibattito pubblico, rilanciando il ruolo della pensione integrativa rispetto all’indennità pensionistica fruita dal lavoratore che matura i requisiti per ritirarsi dal mondo del lavoro. La crisi pandemica dovuta al Covid 19 se da un lato ha devastato l’economia non solo del nostro Paese ma del mondo intero, dall’altro ha costretto il Governo a rivedere i requisiti della Riforma Pensioni, immaginando e cercando di mettere in essere strumenti alternativi che siano in grado di garantire un futuro economicamente protetto. Un futuro che si auspicherebbe vedere offrire alla forza lavoro ormai in quiescenza una pensione complementare, ossia l’investimento in un fondo pensione o in altre formule di previdenza alternativa a quella obbligatoria. Si potrebbe incominciare anche solo destinando il TFR mentre, dal punto di vista fiscale, le pensioni complementari risultano imponibili per il loro ammontare totale ad eccezione della ritenuta già assoggettata a titolo di imposta (15% ridotta di 0,3 punti per ogni anno oltre il quindicesimo fino a massimo 9 punti). I premi versati  sono invece deducibili. E’ prevista una tassazione vantaggiosa per le prestazioni erogate: rendita, riscatto e anticipazioni.

Quanto versare alla previdenza complementare per garantirsi una pensione minima?
Dipende da quanto si versa e per quanto tempo. Molto dipende anche dai rendimenti previsti a seconda dello strumento prescelto ma anche alla modalità di accesso e fruizione della rendita maturata. I fondi negoziali sono molto simili tra loro se si tiene conto delle opzioni per personalizzare la polizza: tutti offrono rendita reversibile o vitalizia e molti fanno scegliere l’aliquota per la reversibilità. La quasi totalità offre una rendita sicura per 5 o 10 anni, una con maggiorazione lTC (Long Term Care, assistenza a lungo termine), mentre i fondi aperti non indicano quasi mai una data di scadenza delle convenzioni e, in caso di aggiornamento delle condizioni, i lavoratori che vanno in pensione nei tre anni possono conservare le condizioni di quella precedente.  Questi fondi prevedono molte tipologie di rendita, anche reversibili. Con la sentenza del 1° marzo 2012, proc. C-236/09, la Corte di Giustizia Europea ha vietato la sottoscrizione di contratti con elementi di discriminazione sessuale. Tuttavia, le «Linee direttrici per l’applicazione della direttiva 2004/113/Ce del Consiglio nel settore delle assicurazioni, sulla base della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-236/09 (Test-Achats)» del 13 gennaio 2012 spiega che per i fondi pensione negoziali a erogazione convenzionata è possibile applicare ancora una differenza in base al sesso dell’assicurato, così come per i fondi pensionistici aperti con adesione collettiva. Per i piani individuali pensionistici (PIP) possono esistere differenze tra uomo e donna  solo se stipulati prima del 21 dicembre 2012. Fatto sta che la previdenza complementare integra le prestazioni previdenziali al compimento, di regola, dell’età pensionabile prevista nel regime pubblico obbligatorio. Obiettivo di questa forma di previdenza, la cui adesione è facoltativa per il lavoratore, è dare risposta al progressivo e inesorabile impoverimento delle pensione pubblica frutto delle riforme delle ultimi decenni. E purtroppo, con questa situazione così assurda dovuta a questa crisi pandemica, sarà difficile in futuro garantire rendite previdenziali adeguate ed in linea con gli ultimi stipendi percepiti dagli assicurati: il maledetto virus ci ha tolto anche questo, ha inciso in maniera drammatica anche e soprattutto sul mondo del lavoro.
Gennaro Raggioli