C’è una capacità che contraddistingue noi esseri umani, una chiave che apre tutte le porte, un grande strumento, la capacità di essere a conoscenza di ciò che viene percepito e di capire quali sono le consequenziali risposte comportamentali a ciò che sentiamo, che è poi quella capacità che fa la differenza tra coloro che le cose le vivono e coloro che le cose le immaginano, la consapevolezza. Ad ognuno di noi sarà capitato, soprattutto negli ultimi tempi, di aver pensato di non poter andare avanti, neanche per un momento, senza la consapevolezza. La consapevolezza di vivere un momento strano, assurdo, una condizione che ha cambiato e stravolto la vita di tutti noi in questi ultimi mesi di pandemia. Avere la consapevolezza di combattere un mostro senza volto non ci rende sicuramente più forti. Avere la consapevolezza di non sapere quando tutto questo scenario, a dir poco apocalittico, potrà finalmente finire ci rende sicuramente fatalisti. Vorremo avere degli sguardi più lunghi, meno sfiduciati, meno avviliti, vorremmo avere la consapevolezza che la nostra vita possa ritornare a funzionare come prima, anzi meglio di prima, vorremmo svegliarci e pensare che è stato solo un brutto incubo. E invece il mostro esiste, il codardo continua a diffondersi, ad avanzare, a diventare più forte e inarrestabile. E quando poi becca proprio te, quando quel mostro invisibile ma con un nome ben preciso, Covid 19, bussa alla tua porta, inizia poi la tua guerra. Da subito. Senza pause. Senza avere il tempo di pensare. Iniziano i sintomi, inizia il calvario. Subito alla ricerca di un tampone, certamente non quello dell’Asl, perché il tuo medico di famiglia ti dice che è meglio farlo privatamente, in un centro accreditato, perché se si aspetta l’Asl il tampone si rischia di farlo dopo tre settimane, questo è il sistema sanitario ormai al collasso, e non sai se dopo tre settimane sarai guarita o non ci sarai più. Stringi i denti, ti reputi fortunata, un lavoro lo hai, i soldi per quel tampone ci sono e non ci pensi nemmeno per un attimo a quelli che invece non possono permettersi di farselo privatamente, corri subito nel primo laboratorio di analisi, vicino casa.
Lì ti accorgi che non sei sola. Lì ti accorgi che ci sono 152 persone prima di te in attesa di eseguire l’esame. 152 persone, giovani, qualcuno con un’età più avanzata ma soprattutto giovani e adolescenti. Ti ritrovi così in un parcheggio enorme, come deportati ad Auschwitz, in attesa di conoscere il proprio destino, in attesa che chiamino il tuo numero, il 152, ma ti metti l’anima in pace, passeranno ore a guardare in faccia quella gente ancora più sconfortata di te. Ti invade una tristezza immane: il mostro non guarda in faccia a nessuno, non ha pietà di nessuno. Torni a casa sempre con quella consapevolezza nel cuore che lentamente vacilla, non la senti più forte, senti le forze venire meno, incominci a dubitare che tutto andrà bene. I sintomi avanzano, crescono, le forze ti abbandonano e in un attimo ti trovi in un letto, inerme, senza capacità di ragionare, sai solo che non senti più nulla. Sei positivo al Covid. Sei il centunesimo sintomatico del 3 novembre 2020 su 13.801 tamponi effettuati in Regione Campania. Non senti il corpo, non senti la voce, non senti rumori: sei solo tu e il mostro invisibile. Non puoi avere nessuno accanto, il virus ti impedisce anche questo, ha azzerato tutto, qualsiasi tipo di difesa, ha eliminato i contatti, quelli umani, ha impedito che le persone possano abbracciarsi. Cosa si darebbe oggi per un abbraccio.. Non ti resta che aspettare, seguire consigli di un medico che cerca di curarti al telefono e sperare di non finire in un ospedale attaccato ad un respiratore polmonare. Controlli la temperatura, non togli più dal dito quel saturimetro e ti auguri che l’ossigenazione del sangue sia costante, in regola. Incominci ad avere fame di aria. Arriva la consapevolezza che stai lottando. La tua guerra. E se c’è una cosa che desideri più di tutto è non stare sola. Non sentirsi sola. Sapere che lì fuori c’è gente che vuole rivederti. Che vuole vederti in piedi, sorridente, che vuole vederti vivere. E quel messaggio di un amico che ti arriva anche negli orari più impensabili, per conoscere il tuo bollettino medico, ti fa capire che devi lottare. Quella telefonata di quell’amica che ti arriva ogni sera, alla solita ora, per sapere se ci sono miglioramenti ti fa capire che devi reagire. Gli affetti. La tua famiglia. L’amore. La consapevolezza che da solo non ce la puoi fare.
E se c’è una cosa che questo dannato mostro è riuscito ad insegnarti è proprio questo: ci sono sfide nella vita che vanno affrontate con tanta forza e l’unico movente è solo l’amore. Perché è questo che serve. L’amore. L’amore per se stessi e per gli altri, per la tua vita e per quanto gli altri dimostrano di tenerci a questa vita. Se c’è un modo per sconfiggere questo nemico cinico è anche grazie all’amore. Perché l’importanza di alcune cose le capisci solo in momenti come questi, quando sei consapevole delle tue fragilità e sai che non hai altra scelta se non combattere questa guerra subdola e se puoi farlo con l’aiuto di coloro che ti amano, diventa sicuramente tutto più semplice. Le armi in questa guerra le abbiamo anche noi. Non lasciamo che il mostro vinca. Ce lo impone la nostra coscienza, ce lo impone l’amore per la vita. La mia guerra la sto ancora combattendo. Mi guardo allo specchio e i miei occhi sono ancora spaventati. Ma è nei momenti di difficoltà che si dimostra la propria forza, la voglia di non arrendersi. È in questi momenti che bisogna avere la consapevolezza che bisogna rispettare la propria vita e quella degli altri, anche con comportamenti prudenti e corretti, anche per chi rischia la pelle per curarci. In questo tempo sospeso un vaccino c’è. Si chiama amore ed è l’ultima speranza che ha l’umanità per sopravvivere.