A volte capita di leggere un romanzo del secolo scorso e scoprirne incredibilmente l’attualità, di vedere uno dei primi film in bianco e nero ed immaginarlo ambientato ai giorni nostri, stesse storie dai colori diversi, di ascoltare un brano o un intero album solo perché ci piace l’artista e poi scoprire che si tratta di un vero e proprio atto d’accusa.
Rispolverando dischi e libri del passato ho ritrovato il fantasma di un uomo, un salvatore, il protagonista di “The grapes of wrath“, un romanzo di John Steinbeck pubblicato nel 1939 ambientato negli anni della Grande Depressione. Il libro ha riscosso un notevole successo sin dal primo momento, ma non senza critiche perché considerato vicino ad ideologie politiche di sinistra e ben presto divenne il manifesto del New Deal del Presidente Roosevelt. Nel 1940 vinse il premio Pulitzer per la narrativa e, nello stesso anno, il regista John Ford ne realizzò il film.
“Furore” è il titolo italiano del romanzo, pubblicato per la prima volta da Bompiani nel 1940 con una traduzione sottoposta ad una rigida censura dal regime fascista. Solo nel 2013 è giunta a noi la versione integrale. Il film omonimo uscì nelle sale italiane nel 1952.
“Furore” è un grande romanzo americano, un racconto epico sull’esodo di quei contadini del Midwest americano costretti a lasciare la propria terra a causa della crisi e delle tempeste di sabbia che avevano distrutto i raccolti ed inaridito la loro terra.
Un vero atto di denuncia della Grande Depressione americana degli anni ’30 presentato attraverso il “viaggio della speranza” di una delle tante famiglie dell’Oklahoma, i Joad, verso la fertile e prospera California. Lungo il percorso della famosa Route 66 si susseguono le vicende della famiglia Joad, raccontate da Steinbeck con lo stesso linguaggio dei suoi disperati personaggi, tenendo distanti i fatti dai commenti, alternando capitoli in cui è presente una forte apertura lirica ad altri in cui ragiona allo stesso modo dei suoi personaggi.
È Tom, primogenito dei Joad, il personaggio principale del romanzo. Un uomo che, dopo essere stato accusato di un omicidio – in realtà un atto involontario durante una rissa per legittima difesa – rientra a casa grazie ad uno sconto di pena per buona condotta, dove trova una situazione completamente diversa da quella che aveva lasciato. La famiglia è pronta ad intraprendere il viaggio verso la “terra promessa” e così inizia “l’esodo” dei Joad a cui si unisce, oltre Tom, anche Casy, l’amico predicatore che ha perso la vocazione, incontrato da Tom durante il suo cammino verso casa. Ricchi di speranza e con grandi progetti futuri, i Joad iniziano il loro lungo viaggio che li metterà a dura prova e durante il quale subiranno la perdita di alcuni membri della famiglia. Ben presto si renderanno conto della situazione reale che si vive in California, dove i migranti, chiamati Okie (abitanti dell’Oklahoma) in senso dispregiativo, sono visti con diffidenza e bistrattati ed il lavoro è precario e sottopagato. Le condizioni di indigenza e le ingiustizie nei confronti degli Okie fanno maturare in Casy ed in Tom il seme della solidarietà, iniziando una sorta di azione salvifica, di liberazione dei lavoratori dai soprusi e dallo sfruttamento. Sarà l’assassinio di Casy che porterà Tom ad uccidere un poliziotto per vendicare il suo amico. La famiglia è costretta a fuggire e Tom a nascondersi. Nella solitudine del suo nascondiglio Tom vive forti momenti di introspezione e di riflessione sugli insegnamenti di Casy riguardo ai rapporti sociali, ai diritti dei lavoratori, e matura la decisione di andare altrove. Il passo più famoso del romanzo e del film è il dialogo tra Tom e Ma’ Joad al momento del congedo: …“Be’, magari è come diceva Casy, che uno non ha un’anima tutta sua ma solo un pezzo di un’anima grande… e così… E così non importa. Perché io ci sarò sempre, nascosto e dappertutto. Sarò in tutt’i posti… dappertutto dove ti giri a guardare. Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì. Se Casy aveva ragione, be’, allora sarò negli urli di quelli che si ribellano… e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta. E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito… be’, io sarò lì. Capisci?…. (Passi di John Steinbeck “Furore”).
“Furore”, frutto della disperazione e della frustrazione dei miseri, vittime di pregiudizio del sistema è un romanzo di una sconcertante attualità, tradotto in tutto il mondo e fonte di ispirazione di film, serie televisive e canzoni.
Nel 1940, subito dopo averne visto il film, il grande musicista folk Woody Guthrie scrisse una grande ballata dedicata a Tom Joad, pubblicata nel suo album “Dust Bowl Ballads”, in cui vi è descritta l’intera trama del film. La grande anima di cui ognuno è un pezzo, così come Casy dice a Tom nel romanzo di Steinbeck, diventa una possibilità nella ballata di Guthrie “potremmo essere una sola grande anima”, quasi come monito per un maggior impegno collettivo per la realizzazione della salvezza. Nel 1995 Tom diventa un’anima vagante, immortale con la pubblicazione dell’album “The ghost of Tom Joad” del cantautore statunitense Bruce Springsteen. Un fantasma che aleggia su un paese in balìa di se stesso, sulle vite dolorose degli ultimi, di chi è costretto a vivere in pellegrinaggio alla ricerca di un sogno.
Bruce Springsteen è uno degli artisti più rappresentativi della musica rock, accompagnato dalla sua storica E-street band. Peculiarità dei lavori di Springsteen è quella di raccontare storie metropolitane, la quotidianità statunitense con le sue contraddizioni, volgendo uno sguardo attento alle fasce più deboli della società.
Prendendo spunto dai personaggi di “The grapes of wrath”, Springsteen compone l’album “The ghost of Tom Joad” e dà voce agli emarginati del suo tempo e lo fa in una chiave musicale completamente diversa dal suo genere, utilizzando un genere acustico, la musica folk (esperimento già riuscito nel precedente “Nebraska” del 1982). I brani dell’album trattano storie amare con finali amari, raccontate dagli stessi protagonisti, storie contemporanee vissute in un periodo di crisi economica e di precario equilibrio sociale, che Springsteen decide di raccontare creando similitudini con un evento di un triste passato.
L’operazione di Springsteen nella composizione dell’album richiama alla lirica narrativa, di quella poesia che racconta sperimentata da Lee Masters, dove i soggetti raccontati raccontano la propria storia con la propria coscienza. Nei 12 brani che compongono l’album si dà voce ai personaggi, che esprimono la propria interiorità, il proprio pensiero, la propria idea, che è anche quella dell’autore.
Si tratta di storie di frontiera, soprattutto di quella tra Messico e California, come nel caso del brano che dà il titolo all’album. Una narrazione di un uomo, uno dei tanti clandestini che trova riparo sotto un ponte e descrive la desolazione di chi, come lui, senza casa ed inseguito dai poliziotti, cerca un rifugio ed un pasto caldo nei ricoveri, senza sapere come andrà a finire. Un uomo in attesa di qualcuno che possa lottare per il riscatto degli ultimi, così come promesso a sua madre da Tom Joad nel romanzo.
Molte le analogie con il romanzo, storie simili varianti di uno stesso mito, il mito della frontiera a cui si aggiunge Tom Joad, metafora di salvezza e di libertà.
“Furore” con i suoi personaggi, Tom Joad con la sua storia, sono di una inquietante attualità. Lo erano all’epoca di Steinbeck come in quella di Ford, lo erano all’uscita dell’album di Springsteen, ma lo sono oggi più che mai.
Sarebbe stato bello immaginare il fantasma di Tom Joad sorvolare i nostri mari, passeggiare per i nostri campi, aleggiare nei cieli di Minneapolis o di qualsiasi altra città mentre un poliziotto picchia a morte un innocente… Peccato, però, che i fantasmi non esistono…