La situazione di NaMet è diventata davvero surreale e il destino dei 24 lavoratori, che hanno ricevuto lettere di licenziamento, preoccupa non poco. Una condizione complessa all’interno di un contesto e in un territorio come il nostro dove, con una pandemia ancora in corso, perdere il lavoro significa perdere tutto, compresa la dignità. Già, proprio così. NaMet, partecipata al 60% dell’azienda Ctp (azienda dei trasporti della Città Metropolitana di Napoli) e al 40% di un gruppo di privati, è una società che svolgeva prevalentemente due attività per Ctp: l’erogazione del metano per gli autobus e la gestione manutentiva del deposito di Arzano, oltre alla gestione di una stazione di erogazione metano esterna per i privati, attività, ad oggi, completamente dismesse. Le ingenti difficoltà finanziarie hanno provocato la messa in liquidazione dell’azienda e i lavoratori, che si occupavano di manutenzioni e erogazione metano, sottoposti a procedura di licenziamento collettivo. Questa triste vicenda, iniziata proprio a seguito della messa in liquidazione della Namet, con la conseguente cessazione di tutte le attività, ha determinato l’inizio del calvario per i 24 lavoratori.
Nella prima fase della procedura, che risale allo scorso anno, le Organizzazioni Sindacali hanno governato la situazione attraverso le misure dei distacchi, attuati per i dipendenti NaMet, presso la Ctp. Tutto ciò fino a quando non è esploso il conflitto tra Ctp, NaMet, soci privati e liquidatori, un percorso di contrapposizione tra le parti che ha fatto venire meno lo strumento del distacco anche perché, purtroppo, questo sistema giuridico non poteva essere adottato sine die. Cosicché, dopo tutta una serie di interlocuzioni, di interventi della Città Metropolitana (ente proprietario di Ctp) si individua finalmente un percorso atto a consentire il trasferimento dei dipendenti direttamente in Ctp, attraverso la cessione individuale di contratto, istituto giuridico già utilizzato in altre realtà aziendali. Ma qualcosa non va come dovrebbe: all’atto della conciliazione, i tre liquidatori non si presentano, impedendo a questi lavoratori di passare in Ctp, di salvare il loro destino e facendo naufragare, per ora, tutte le loro speranze. Ma come se non bastasse arriva la maledetta pandemia e con le attività ferme già di per sé i lavoratori usufruiscono impropriamente della cassa integrazione Covid: la procedura di licenziamento collettivo risale a circa un anno fa, sicuramente prima dell’emergenza sanitaria. Inutile negarlo: c’è un problema di natura giuridica nell’applicazione degli ammortizzatori sociali, da un lato l’azienda li ha applicati senza nessun problema, dall’altro la stessa elude uno dei principi più importanti istituito all’interno delle misure previste nell’ambito dell’emergenza Covid, ovvero l’impossibilità da parte delle aziende di licenziare. E NaMet cosa fa? Di tutta risposta, senza alcuna remora, applica i licenziamenti prendendosi solo la parte buona prevista dalla normativa, ossia quella riguardante l’applicazione degli ammortizzatori sociali; spedisce le lettere di licenziamento che invia solo ed elusivamente ai lavoratori (avrebbe dovuto inviarle anche agli enti), azione che i liquidatori pare siano interessati ad utilizzare come arma di ricatto per avere al tavolo tutti i soggetti interessati per ricercare tutte le soluzioni attinenti la liquidazione della società . Solo nei primi giorni del mese di settembre, invece, i liquidatori hanno inviato le lettere di licenziamento anche agli enti preposti (Inps, Collocamento), rendendo formalmente valide le risoluzioni dei rapporti di lavoro. 17 lavoratori su 24 hanno avviato una procedura legale, un procedimento cautelare d’urgenza in base all’ex art 700 del codice di procedura civile per impugnare sia il mancato trasferimento in Ctp sia, appunto, il licenziamento subito.
La speranza è che questi lavoratori possano venire a capo di questa complicata vertenza, considerato anche che l’azienda Ctp ha espresso formalmente la volontà di assorbire questi lavoratori utilizzando l’istituto della cessione individuale del contratto di lavoro, con l’avallo della proprietà, Città Metropolitana, e senza considerare che i liquidatori potrebbero, nell’ambito del percorso di liquidazione, “liberarsi” del peso economico dei lavoratori che invece continuano ad essere ostaggio di una vicenda sgradevole. I membri del collegio dei liquidatori NaMet si sono sempre rifiutati ad autorizzare questa cessione, operazione che avrebbe garantito e ridato dignità e sicurezza alle 24 famiglie dei lavoratori. Le O.O.S.S. hanno dal primo momento contestato la mancata applicazione della procedura della 223 (da circa un anno) infatti, l’esame congiunto previsto dalla norma, non ha avuto il suo decorso naturale sia nella prima fase che nella seconda, quest’ultima completamente elusa dal collegio dei liquidatori. Ci rendiamo conto che ci sono 24 lavoratori con le rispettive famiglie che stanno vivendo un vero dramma sociale? L’auspicio è che ci sia al più presto la revoca del licenziamento, un tavolo di trattativa che possa riprendere un percorso per i lavoratori che stanno a casa senza più lavoro, senza stipendio, senza beneficiare di alcun sussidio, senza ammortizzatori sociali e senza più un briciolo di dignità. Non possiamo consentirci la perdita di un solo posto di lavoro a causa di scelte scellerate e opportunistiche.