La recente pandemia da Covid-19 ed il relativo lockdown hanno rappresentato un’opportunità per ripensare spazi e tempi delle nostre giornate lavorative. Nel rivoluzionare in toto il nostro vivere quotidiano e nell’impossibilità di garantire sempre il distanziamento sociale, questa emergenza ci ha fatto conoscere un nuovo modo di lavorare che, con ogni probabilità, diventerà una prassi nel panorama lavorativo: lo smart working. Un nuovo modello organizzativo non convenzionale caratterizzato dall’assenza di rigidi vincoli orari o spaziali e consistente, invece, in un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi. I dipendenti, pubblici e privati, hanno detto addio al badge e al cartellino a fronte di una grandissima responsabilizzazione sui risultati da raggiungere! Ma cosa è realmente lo smart working o lavoro agile e in cosa differisce dalla ordinaria prestazione lavorativa? E, soprattutto, rappresenta davvero una svolta nel modus operandi della Pubblica Amministrazione?

Innanzitutto va chiarito che il lavoro agile  non è assimilabile al telelavoro, tuttavia, la mentalità datoriale difficilmente riesce ad accettare questa sostanziale differenza. Di fatto lo smart working, messo in atto durante questo lockdown,  altro non è stato che un telelavoro con deroghe e con un packaging in lingua inglese. Il non riuscire a controllare i propri dipendenti rappresenta, infatti, per molti un ostacolo insormontabile: è difficile concepire una realtà lavorativa che invece di essere scandita da rigidi turni e da rilevatori di presenza  sia incentrata su una valutazione delle prestazioni per obiettivi. E’ innegabile che lo Smart Working presuppone la capacità da parte dei lavoratori di gestire il proprio tempo. Tuttavia non può negarsi che la realtà lavorativa italiana, restia ai cambiamenti e alle novità, ha sempre associato allo strumento del lavoro agile, almeno fino all’attuale pandemia, l’idea della scappatoia per i fannulloni di turno!

Le recenti dichiarazioni del sindaco di Milano «è ora di tornare a lavorare» – o  quelle del giurista e politico  Pietro Ichino «nella maggior parte dei casi è stata una vacanza pressoché totale, retribuita al 100%» hanno mostrato una visione del lavoro antiquata, ottocentesca e incapace di riconoscere il valore dell’autonomia dei lavoratori. Da qui sterili polemiche ed innumerevoli lamentele, soprattutto sui dipendenti pubblici, che stanno determinando, con l’avvicinarsi, almeno si spera, della fine dell’emergenza pandemica, la corsa al ritorno allo status quo lavorativo sprecando un’occasione utile per andare oltre gli stereotipi ed i pregiudizi. Una storica strategia questa che, in buona sostanza, costituisce il modo migliore per lasciare tutto come è. Ma quello che sfugge e che viene troppo spesso sottovalutato è la possibilità attraverso il lavoro agile di incrementare e migliorare, soprattutto per le donne, chiamate in questa emergenza ad essere il più delle volte delle supereroine della famiglia, la conciliazione vita-lavoro, la cosiddetta work-life balance. Senza sottacere che la possibilità di accrescere il livello motivazionale dei dipendenti può produrre una serie di effetti benefici. Riduzione del tasso di assenteismo, impatto sull’ambiente nella movimentazione quotidiana e diminuzione degli incidenti in itinere sono solo alcuni vantaggi dello smart working .

E c’è anche chi, come una start up milanese, ha  saputo utilizzare lo strumento del lavoro agile per aiutare i locali nella fase 3, creando un app in grado di mettere in rete bar e caffetterie che ospitano postazioni di lavoro “sanificate” e munite di wifi dedicate ai “lavoratori agili”, riconvertendo gli spazi in postazioni di co-working. A tutti gli effetti, un ufficio diffuso. Tuttavia, in questa nuova realtà che spesso sembra surreale e lontana dai nostri stili di vita, vi è un aspetto molto importante senza il quale non è possibile pensare “smart” all’interno del mondo lavorativo, soprattutto nella Pubblica Amministrazione: la digitalizzazione. Stiamo vivendo infatti una crisi senza precedenti e occorre utilizzarne la spinta per realizzare un ridisegno digitale della P.A. incrementando l’utilizzo e la diffusione delle tecnologie digitali. Un restyling che potrebbe portare ad un aumento di produttività e ad un cambiamento positivo nell’erogazione dei servizi al cittadino in tutti i settori dall’istruzione fino anche ai trasporti. Ma ancora una volta l’Italia, senza  un vero piano di rilancio, rischia di sprecare un’ennesima occasione di svecchiamento e sburocratizzazione.