Celina la conobbi perché era la donna per la quale Cascione aveva perso la testa. Cascione è il soprannome di un amico che frequentò con me la scuola, dalle elementari alle superiori. Ci perdemmo poi di vista all’università quando scegliemmo due facoltà diverse, io mi iscrissi a Giurisprudenza, lui a Geologia. Qualche mese fa mi trovavo presso lo studio di un collega molto apprezzato nel nostro ambiente. Ci stavamo preparando per un’udienza in Cassazione: eravamo il collegio difensivo di un industriale locale.  Era di pomeriggio e lo studio era chiuso al pubblico. Noi stavamo scartabellando tra codici e sentenze. Come una bomba suonò il campanello d’ingresso, un po’ infastidito il collega mi fece cenno di ignorarlo, ma l’inopportuno visitatore persisteva dando vita a quel suono impossibile da ignorare. Sbuffando, un tantino imbufalito, andò ad aprire purché cessasse il fastidio. Sentii in lontananza, nel corridoio, un breve conciliabolo. Il collega rientrò e sentendo dei rumori metallici, chiesi subito spiegazioni. Mi fu detto che era venuto l’uomo del caffè, cioè l’incaricato del rifornimento e della manutenzione della macchina del caffè dello studio. L’arrivo del manutentore ci suggerì l’idea di una pausa da tutte quelle carte, perché non approfittare per un buon caffè?
Giunti alla macchinetta non vi dico la meraviglia nel vedere il mio vecchio compagno di liceo alle prese con il marchingegno della scura bevanda. Non che Cascione fosse meno sorpreso di me; “ma come, ti credevo in qualche cavità sotterranea circondato da stallatiti e stalagmiti”.  “Ciao bella” rispose Cascione. A volte la vita sceglie per noi. Visto che la  ditta che riforniva il mio studio di caffè avrebbe cessato l’attività approfittai e pregai Cascione di passare da me. Avremmo così  unito l’utile al dilettevole, ero curiosa. Volevo sapere cosa era successo in quei venti anni da quando ci eravamo persi di vista.  Dopo una settimana Cascione era nel mio studio e lo feci accomodare in  poltrona, e davanti a un buon caffè cominciammo a  parlare del bel tempo andato. Il bello era davvero andato, l’unica cosa buona era stata, a suo dire, l’incontro con Celina, l’amore della sua vita. In un viaggio in Brasile fatto insieme, con una combriccola di amici, scapoli impenitenti come lui, aveva  in quell’occasione conosciuto questa ragazza per la quale aveva perso la testa. Mi disse che si erano sposati. Era d’obbligo, a suo dire, che io e la sua signora ci conoscessimo e mi invitò a cena a casa sua. Il sabato successivo conobbi la sua lei.  Per essere brasiliana non era come avevo immaginato, donna graziosa, capelli biondi ed occhi celesti. Saremmo anche potute diventare amiche, ma dopo quella sera non ne volli più sapere. Durante  la cena Celina più volte ribadì che era una brasiliana pura, bianca. Con orgoglio diceva che la madre era discendente di una famiglia portoghese ed il padre era italiano. Ma tu guarda dove va ad annidarsi il razzismo, mi dissi. Non ci potevo credere e quel povero Cascione che pendeva dalle sue labbra ogni volta che Celina magnificava le sue origini di sangue europeo. Sicuramente si può essere razzisti anche senza esserne  pienamente coscienti. Così, caro amico di penna, ti ho raccontato anche questa storia, peccato aver riperso Cascione, fraterno amico, appena ritrovato, ma ho paura come ne ebbi l’impressione, che lui sia stato Celinizato.
Può essere facile anche per un figlio del sud sentirsi ariano in Brasile.
Ciao salutami chi vuoi.
Rujamar!