”questa è la ricetta della vita”, disse mia madre tenendomi tra le braccia mentre piangevo ”pensa a quei fiori che pianti in giardino ogni anno t’insegneranno che anche le persone devono appassire cadere radicare crescere per poter fiorire.
L’appassire. Essere presi per mano in un viaggio spirituale all’interno di un seme di girasole: è questo quello che le parole della poetessa Rupi Kaur nel suo libro ”the sun and her flowers” fanno, aprendo le porte ad una storia così personale da poter essere condivisa da tutti. In un’epoca in cui la poesia sembra appassita, la scrittrice medica le sue ferite con parole dirette, limpide, che serviranno a riempire il vuoto di cui si era macchiata.
Il cadere. ”Qui l’unica rimasta viva sono io, e mi sento viva per modo di dire”.
Ma cos’è il vuoto? Non importa quanto il cielo sia grigio, troveremo sempre una parola per descriverne la tonalità. Ma che parole usiamo quando il cielo ormai è crollato?
Aristotele affermava che ogni artista fosse un po’ melanconico; basti pensare a Lucrezio, Nietzche, Van Gogh, all’inevitabile follia in cui questi grandi geni sono sprofondati. Credere che pazzia e genialità non solo vadano insieme, ma che siano la stessa cosa, è un azzardo non troppo astratto. In ”the sun and her flowers” il vuoto diventa protagonista delle brevi liriche lasciando pagine vuote, disegni minimizzati, punteggiatura assente e maiuscole eliminate. La depressione è la protagonista indiretta della difficile storia di una donna colpevole solo ”di essere nata in un corpo femminile”, stuprato, usurpato, stracciato, valutato come un oggetto.
Il radicare. La poesia diventa ricerca. La Kaur è la prima a chiedersi il perché di questa sofferenza innata, e mette le radici nella cultura medio-orientale, distante e misogina ma cucita sulla sua pelle. Celebra la sua famiglia, parla con toni aspri di immigrazione e accoglienza, schierandosi a favore del mondo, perché ”forse siamo tutti migranti”.
Il crescere. Un altro tema della sua ricerca sfonda la porta aperta del tabù e intreccia la poesia romantica a quella erotica, tagliandone il confine ecelebrando amore e sesso in modo crudo, reale, passionale. La tanto desiderata felicità è forse nelle mani del primo uomo in grado di non farti sobbalzare quando ti tocca. Quello che è in grado di amare il corpo che altri hanno ammaccato. Quello che sa che sei bella, ma sa anche che sei molto di più. Avrà trovato quindi l’autrice un’uscita dalla sua melanconia?
Il fiorire. L’arte è fatta della sostanza dell’unicità. Il romanzo poetico ha un finale aperto che trova giustificazione solo nel titolo.
”the sun and her flowers”, infatti, è grammaticalmente scorretto: il Sole (the sun) è un nome neutro, e pertanto ci si riferisce ad esso con l’aggettivo possessivo its. L’aggettivo her, invece, è utilizzato per indicare il possesso da parte di una donna; la scelta dell’autrice, che lascia intendere che il Sole sia femmina, è senz’altro emblematica. Il Sole è donna, come la poesia, come lei, e i girasoli sbocciati dalle sue parole muovono la corolla per raggiungerla. La poesia è redenzione, sfogo, punto di appoggio; anche con il cielo crollato, Lucrezio inventava parole, Van Gogh dipingeva stelle, la Kaur immaginava di essere il Sole. E la sua ricerca non ha bisogno di soluzione, perché il solo averci tentato ha alzato il volume della musica di tutti i suoi lettori.
”E finché c’è fiato nei polmoni, dobbiamo continuare a danzare”.
Irene Mascia