Ciao amico mio di penna, non so perché ma improvvisamente domenica scorsa mi è venuta la smania di mettere ordine nei cassetti della scrivania di casa. Ed ecco che è saltato fuori un foglio con una poesia. Roba da non crederci. Il testo risaliva ai tempi del ginnasio, quando ero una giovine pulzella, sembra strano ma così è stato anche per me, all’epoca ero immersa nei giochi della prima adolescenza. A ripensarci oggi, sembra una cosa lontana nel tempo e nello spazio, quasi impossibile, ma pur reale. La poesia riscoperta, ritrovata, ne è la prova tangibile. Erano i tempi in cui mi districavo tra l’impegno civile e tra i colori di autunno nei boschi. Non credevamo più alla cicogna, ma c’era spazio per essere romantici. Il giovane uomo scrisse quei versi sicuramente animato dai migliori istinti che l’approccio al mondo offre.
Li trascrivo, così come allora li ho ricevuti: “Intra lì raggi del calante sole, la chioma tua castagna si mischia con le fronde dell’ubertoso bosco baciato dal novello autunno. Tu mi vieni incontro con rinnovata grazia tanto che parlo, piede tuo non tocchi. Mistero della vita.. tu chi sei? Sei forse la consolazione dell’amor cercato? Un miraggio mandato da benevoli dei? Sei tu la compagna dei giorni a venire? No, tu sei l’inizio di tutti gli uomini. Tu sei la salvezza e la perdizione. Tu sei l’inizio e la fine, tu sei la donna“.
Che ne pensi? Sono sicura che per Folco, tale era il nome dell’autore di questi versi, non ci fosse arpeggio migliore per attirare la mia attenzione. Ai tempi che furono, nel periodo in cui giunse l’ode, mi sentivo goffa, una spilungona magra e senza forme. Non riuscivo a capacitarmi come mai una poesia così bella fosse destinata proprio ad una come me, non capivo come potesse vedermi Folco in quel modo. Sicuramente la cosa mi fece piacere ma nello stesso tempo, in quanto donna, istintivamente percepii qualcosa di sbagliato. Ma non subito, tralascio le sensazioni che inizialmente la poesia mi suscitò.  Ero troppo timida, troppo cattolica per cedere all’istinto. Oggi penso a quella poesia, per quanto tenera ed innocente non posso esimermi da qualche considerazione. Era insita in Folco un atteggiamento molto cavalleresco, con il suo pensiero di idealizzazione della donna. L’angelo del focolare, le custodi della casa. Ma è risaputo, ci considerano monache di giorno e cortigiane quando tramonta il sole. Ma è possibile? Come se ci fosse un interruttore da abbassare o alzare.. siamo sempre o non lo siamo l’altra metà del cielo? Noi siamo persone, ridiamo, piangiamo, siamo come loro, gli uomini. Ci idealizzano e poi ci restano male, nel loro immaginario siamo come le Barbie, ci prendono e ci ripongono a seconda dell’estro. Ma abbiamo passioni e anche pulsioni.
Salutami chi vuoi!
Rujamar