Quello che ci accade intorno ci dà la sensazione della realtà, di ciò che percepiamo. Ma non possiamo verificare l’origine di tutte le cose che costituiscono la nostra realtà, che sia il pianto di un bambino o un massimo sistema. E mentre ogni settimana trasmettono in tv o postano sui social una versione diversa del Big Ben, mentre ci parlano della nostra miracolosa, affascinante e stupefacente forma elicoidale del DNA, ci raccontano anche dei barchini. Gli sbarchi fantasma orditi da centinaia di diversi, per cultura, religione e tradizione, ma sopratutto pelle. Dal Circolo Polare Artico sino alla Sicilia, eccolo, l’uomo nero. Proprio lui che ci priva del lavoro sottraendolo ai nostri figli. Immagino in un sogno decine di laureati in architettura, in giurisprudenza, in biologia, in lettere antiche e moderne, fiondarsi dalle pianure del nord, dalle colline del centro, dall’arido sud Italia nella capitanata provincia di Foggia. Tutti raccoglitori di pomodori, olive, di uva a seconda delle stagioni. Dal momento che esiste la possibilità di scelta, i nostri figli potrebbero optare per la Calabria, se il territorio pugliese risultasse ostico.
Per gli amanti del mare l’alternativa potrebbe diventare pescatori a Mazara del Vallo piuttosto che lasciare tutto quel lavoro ai tunisini. Certo, questi ultimi non sono proprio neri neri, hanno la pelle olivastra molto simile a quella degli europei del sud, agli italici, iberici, ellenici. La paura è per il colore della pelle? O c’è il terrore atavico che con il loro esotico fascino possano attrarre la nostra proprietà più cara, più esclusiva, le nostre amate donne? Nostre per diritto divino? Solo un caos di messaggi subliminali, dove la pubblicità orienta i consumi e le false notizie alimentano ataviche paure. C’è il rischio che questo brodo non primordiale ma finale ci porti all’ennesimo scontro tra restauratori ed innovatori. Tra questi due stereotipi la differenza è solo il tempo anacronistico, volerlo riportare indietro, ma grazie ad una narrazione appropriata, appellandosi agli istinti primordiali, alla panacea della gente come si usa dire oggi, si può dare l’illusione, a chi ci ascolta, di poter tornare a vivere nel bel tempo andato. Sicuro distruggere è più facile che costruire. Proporre di andare avanti studiando i flussi e le novità che il presente ci pone innanzi, cercando con i  dati disponibili di costruire un futuro più impegnativo, non ha facile presa. Far baluginare un miraggio di assoluta staticità è semplice e preferiscono galleggiare, protetti di ogni male nel liquido amniotico della pre-nascita individuale e nessuno, dal punto di vista soggettivo, è mai stato meglio.
Il fatto è che oggettivamente e collettivamente ne siamo usciti quando, appena nati, siamo stati chiamati ad affrontare la realtà.
Condizione sia nel bene che nel male, grazie a migliaia di successioni generazionali, siamo stati creati. Giusto o no che sia, è così. Non c’è molto da poter decidere, si va avanti e cerchiamo di costruire o immergiamo la testa in un immaginario amniotico futuro. L’ago della bilancia si sposta da una parte all’altra grazie alla pressione imposta dalla narrazione subliminale e perciò edulcorata e fuorviante. Non importa quanto manipolata e perciò mendace, il tutto condito da indifferenza e da un collettivo di ignoranza.
Vi   saluto e sono l’Autoferroagricolo!