“Quello non è una camorrista, è uno scemo, solo uno scemo può andare da solo su una vecchia moto e senza aver messo prima il colpo in canna, un vero camorrista queste cose non le sbaglia”.

Queste le parole che ho sentito oggi a commento dell’agguato in Piazza Nazionale che ha suscitato l’indignazione di tutti, o quasi, per il grave ferimento di una bambina di 4 anni. Parole dette da persone normali, che però, senza rendersene conto, effettuano un distinguo fra un camorrista e uno scemo, come se essere camorristi fosse una qualità riservata ai più seri.

Un tale pensiero deve suscitare in noi una seria riflessione, innanzitutto che cosa è la camorra, se è solo un’associazione di delinquenti o è una definizione più profonda. Non siamo forse un po’ camorristi anche noi quando facciamo un’affermazione come quella virgolettata sopra? E non lo siamo un poco anche quando lasciamo la macchina in seconda fila o quando ricorriamo al “pezzotto” per vedere tutti i canali televisivi? In genere si pensa che in fondo queste piccole scorrettezze non siano reati seri, ma la somma di esse rende il nostro territorio privo di regole, e l’assenza di regole è l’humus ideale dove cresce la delinquenza.

Noi tutti siamo pronti a manifestare portando in piazza la nostra rabbia quando ad essere colpita è una piccola bambina di 4 anni, ma saremmo altrettanto pronti a rinunciare alle nostre piccole scorrettezze?

Siamo disposti a cambiare il nostro lessico iniziando a chiamare poliziotti e non più “gguardie” le forze dell’ordine, siamo convinti a non mitizzare le figure dei camorristi, anche attraverso le serie tv, definendoli per quello che sono, ossia feccia?

Ma sopratutto, siamo consapevoli della necessità di insegnare ai nostri figli quei valori come l’onestà, l’educazione, il rispetto del prossimo, distraendoli da quel mondo virtuale nel quale li abbiamo relegati?

Solo così potremmo sconfiggere la camorra, iniziando dal piccolo “camorrista” che ognuno di noi si porta dentro e solo allora potremmo essere liberi di urlare il nostro sdegno, solo allora potremmo sentirci non colpevoli, solo allora potremmo diventare strumenti di educazione per i nostri figli sperando in un mondo migliore nel quale nessun bambino rischi di morire colpito da una pallottola vagante.

Antonio Aiello