Lucilla chiuse la porta dello studio notarile, dopo aver diligentemente inserito l’allarme. Era una cosa che capitava di rado, solitamente non era lei a far ciò, ma quella sera si era trattenuta oltre l’orario a causa di alcuni documenti urgenti.  Il signor notaio era stato gentile, con molto garbo gli aveva chiesto quell’ulteriore impegno lavorativo. Non era il caso di rifiutare, si trattava di un buono impiego, grazie al quale Lucilla riusciva ad essere indipendente ed a continuare gli studi universitari. Peccato che il suo ragazzo fosse così possessivo, se ne sarebbe fatto una ragione, quella sera era saltata la pizza insieme.

Quando il signor notaio aveva chiesto a Lucilla di restare per completare gli incartamenti indispensabili per il mattino dopo, lei subito aveva telefonato a Timoteo. Non ti dico cosa era successo! Il cellulare divenne bruciante; e tu non mi ami, se mi volessi bene come te ne voglio io non mi tratteresti così. Fin qui Timoteo era sopportabile, il guaio è che eccedeva, dalla lamentazione passava prima ai sospetti poi ad accuse di tradimento. Per fortuna, si disse Lucilla mentre prendeva l’ascensore, il notaio era già andato via quando il suo ragazzo si era messo a gridare nel telefonino, sarebbe stato imbarazzante se l’avesse sentito. Ormai la serata era cambiata, i programmi saltati ma si sa il lavoro è lavoro.

Con la solita precisione Lucilla poggiò sulla scrivania i documenti da verificare, datosi che le uscite con il ”suo” Timoteo riuscivano sempre a metterla in agitazione socchiuse la finestra e si accese una delle sue rare sigarette. Con lo sguardo sul parcheggio sottostante, mentre il fumo aggredendole i polmoni la calmava, vide un’ombra fare un guizzo dietro le macchine, gli parve di riconoscere Timoteo ch’era venuto a controllare; ma no, si disse, non può essere. L’ascensore depositò Lucilla nell’atrio del palazzo ove era l’ufficio cinque piani più in alto, al suono dei suoi tacchi sul granito del pavimento fu tentata di telefonare. Poi ci ripensò, Timoteo gli aveva detto chiaramente che sarebbe andato con gli amici del calcetto a scolare qualche birra, alla sua salute di donna senza cuore, di non cercarlo, lui non avrebbe risposto.

Vide l’ora da pochi minuti erano passate le ventitré, normalmente quando faceva tardi Lucilla al mattino si recava allo studio con la sua usatissima utilitaria, regalo di un anziano zio che non poteva più guidare. Quel giorno non aveva potuto prevedere il ritardo, meno male che abitava vicino, non più di cinquecento metri. Strinse al petto la borsetta e a braccia conserte si avviò verso casa col suo passo atletico da donna in ”carriera”. Velocemente percorse la strada principale ben illuminata, anche se non c’erano pedoni le macchine ancora transitavano, giunse così alla terza traversa quella di casa sua. Li la via non era troppo illuminata, ma era una zona tranquilla, non era mai successo niente.

Gli alti platani che di giorno ombreggiavano la stradina dandoli un’aria civettuola, ora di notte schermavano le luci creando un’atmosfera un tantino inquietante, ma non tanto da spaventare. Le luci esterne del fabbricato ove era il bilocale di Lucilla brillavano come l’orsa maggiore agli occhi della ragazza indicando la direzione nella penombra. Ormai vicina alla meta Lucilla pensava a come avrebbe farcito il tramezzino che sarebbe stata la sua cena, ormai era tardi per mettersi a cucinare qualcosa. Mentre cercava le chiavi nella borsa avvertì nell’aria uno strano odore, con un che di ”selvaggio”. Come quando un cane torna accaldato dal cacciatore con la preda. Lucilla ebbe un attimo di spavento poi si rese conto, non era con l’olfatto che percepiva quel ”afrore” da bestia feroce, ma sembrava quasi di ”respirarlo” con la pelle’‘.

I capelli si rizzarono sulla nuca di Lucilla, un’ombra gli si parò innanzi, la tensione si sciolse quando riconobbe Timoteo. Lui si avvicinava sorridendo, e lei si prese in giro per la paura provata poc’anzi. Man mano che Timoteo si avvicinava il sorriso diventava sempre più fisso, agli occhi di Lucilla si rivelò un ghigno. Gli occhi di lui sgranati, farfugliava strane parole mentre dalle labbra colava un filo di saliva. D’improvviso Lucilla senti le mani di lui afferrarle la gola e stringere. Non riuscì a gridare Lucilla, sentiva solo le mani di Timoteo alla gola, stringere…stringere… Alla prossima manifestazione contro la violenza sulle donne, ci sarebbero state un paio di scarpe rosse in più, quelle di Lucilla.

Vi saluto e sono L’autoferroagricolo!