Nel cuore pulsante del Golfo, la sirena Partenope emerge dai flutti nel nuovo murale che impreziosisce il porto di Napoli. L’opera, firmata da Mr. Pencil e realizzata grazie alla collaborazione tra l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale e il gruppo McArthurGlen, rappresenta un ponte tra arte, identità e futuro. Un gesto simbolico, pensato per avvicinare il porto alla città, per farne non solo uno snodo logistico, ma anche uno spazio di bellezza, apertura e modernità.
Ma se Partenope ha finalmente un volto sul muro, resta senza voce di fronte a ciò che accade (o non accade) nelle stanze del potere. Mentre la politica si accapiglia, il porto – un’infrastruttura strategica per l’economia campana e nazionale – continua a navigare senza timoniere. Una crisi di governance che si protrae da mesi, congelando decisioni fondamentali, rallentando investimenti, bloccando prospettive.
A luglio scorso la proposta di nomina di Eliseo Cuccaro a presidente dell’Authority del Mar Tirreno Centrale, approvata a larga maggioranza dalla Commissione Trasporti della Camera, sembrava poter spezzare finalmente questo stallo. Un manager con una lunga esperienza nel settore dei trasporti, già AD di Alilauro, apprezzato anche al di fuori della Campania. Un profilo tecnico, insomma, su cui convergere per il bene del territorio.
E invece, anche questa nomina rischia di naufragare tra le onde del mare agitato della politica. Forza Italia ha sollevato obiezioni per presunti conflitti d’interesse legati al passato manageriale in Alilauro di Cuccaro. Obiezioni che, però, non hanno trovato riscontro né sul piano giuridico né su quello della trasparenza. Un’opposizione interna alla stessa maggioranza che ha finito per trasformare una scelta amministrativa in una guerra di posizione, in un braccio di ferro miope e dannoso.
Cui prodest?Chi trae beneficio da questo stallo? Di certo non Napoli, non la Campania, non il sistema portuale nazionale. Mentre il centrodestra litiga su una nomina che non dovrebbe dividere – e che, anzi, avrebbe dovuto rappresentare un punto d’incontro tra forze politiche diverse – il porto resta privo di una guida stabile. E il tempo perso, in un settore che vive di logistica, di programmazione e di velocità decisionale, si traduce in occasioni mancate, in competitività compromessa, in occupazione congelata.
Tutto questo avviene mentre, paradossalmente, si celebra la sirena Partenope come simbolo della rinascita. Ma quella sirena, oggi, sembra costretta ad assistere impotente al naufragio della politica. Una figura mitica che dovrebbe guidare e ispirare, ma che invece resta immobile, intrappolata in un’opera murale mentre il porto che la ospita viene abbandonato al commissariamento, all’incertezza, all’inerzia.
Il rischio è altissimo: che anche il “Porto dei Murales”, con la sua visione di apertura e modernizzazione, resti solo un bel progetto sulla carta, una scenografia senza sostanza. Senza una guida competente, stabile, autorevole, capace di dialogare con istituzioni e operatori, ogni investimento rischia di impantanarsi. E il porto – questo straordinario snodo tra Mediterraneo e mondo – rischia di rimanere un gigante addormentato.
È ormai tempo di lasciarsi alle spalle la passata stagione segnata da autoreferenzialità, esclusione del confronto e mancanza di attenzione verso i lavoratori. Il porto ha bisogno di una guida che sappia valorizzare non solo le infrastrutture, ma soprattutto le persone che ogni giorno rendono possibile il funzionamento di questo nodo strategico. Senza lavoro, non c’è sviluppo. Senza dignità, non c’è futuro.
È indubbio che il Governo, il Ministero dei Trasporti, la coalizione di centrodestra e le opposizioni, tutti dovrebbero comprendere che in gioco non c’è solo un nome, ma una visione di sviluppo. E questa visione non può prescindere dalla valorizzazione del lavoro, dal rispetto per chi ha tenuto il porto in piedi anche nei momenti più bui. Perché il porto, prima ancora che un’infrastruttura, è una comunità. E senza il lavoro, anche la più bella delle sirene non può cantare.
La politica, d’altro canto, torni a occuparsi del bene comune. E lasci Partenope tornare a cantare. Ma non un lamento, ma un inno alla rinascita, alla competenza e al futuro.