Il mercato del lavoro è sempre un terreno caldo e dibattuto per la politica. Ma cosa succede quando al governo c’è la destra o la sinistra? Chi riesce davvero a creare più posti di lavoro e migliorare le condizioni dei lavoratori? Curioso analizzare entrambe le prospettive, con uno sguardo concreto alle politiche attuate negli ultimi decenni.
I governi di destra (meno tasse, più flessibilità) tradizionalmente puntano su una ricetta chiara: meno tasse per le imprese, meno burocrazia e più flessibilità nei contratti. L’idea di fondo è che rendere più facile e conveniente per le aziende assumere (e, se necessario, licenziare) possa incentivare la crescita economica, attirare investimenti e, di conseguenza, creare lavoro. Un esempio significativo fu la Legge Biagi del 2003, promossa dal governo Berlusconi che introdusse nuove forme contrattuali come il lavoro a progetto e il contratto di somministrazione, con l’intento di rendere più fluido l’accesso al mercato del lavoro. Se da un lato ha effettivamente ampliato le possibilità di assunzione, dall’altro ha aperto la strada a una crescita della precarietà e dei contratti a breve termine. Anche il Jobs Act del 2015, pur essendo stato promosso da un governo di centrosinistra (Renzi), ha adottato molte logiche flessibili tipiche della destra. La riforma ha introdotto il contratto a tutele crescenti, riducendo le garanzie per i neoassunti. I risultati? Più di 600.000 nuovi “occupati” secondo quanto dichiarato dall’Istat, non solo quindi lavoratori impiegati a tempo indeterminato (con meno tutele), ma soprattutto lavoratori saltuari o occasionali.
La sinistra (protezione e investimenti pubblici) al contrario, promuove storicamente politiche a tutela dei lavoratori e sostiene l’economia attraverso investimenti pubblici e servizi sociali. L’idea chiave è che garantire diritti, sicurezza e stipendi dignitosi ai lavoratori non solo migliora la qualità della vita ma rafforza l’economia nel lungo periodo.
Un esempio storico è stato il Pacchetto Treu del 1997, sotto il governo Prodi. Pur introducendo una prima forma di lavoro interinale, cercò di bilanciare la flessibilità con la tutela del lavoratore, promuovendo politiche attive per il reimpiego. Un approccio più moderato rispetto alle riforme successive. Il governo Prodi II (2006-2008) puntò invece su una strategia di aumento dei salari minimi attraverso la contrattazione collettiva e su incentivi alle imprese che stabilizzavano i contratti a tempo determinato. Nonostante la durata breve del governo, i dati Istat mostrarono un calo della disoccupazione fino al 5,7% nel 2007, uno dei livelli più bassi mai registrati in Italia.
Come potrebbe cambiare concretamente il nostro lavoro con una politica di destra o di sinistra? Immaginiamo di tradurre queste ideologie nella realtà concreta del nostro ufficio. Con un governo di destra, probabilmente nella nostra realtà lavorativa avremmo meno vincoli sulle assunzioni e sui licenziamenti, con la possibilità per l’azienda di riorganizzare facilmente il personale secondo le esigenze di mercato; contratti più flessibili, magari con meno tutele in caso di licenziamento, ma con incentivi per la produttività; aumento della pressione lavorativa siccome la competizione interna potrebbe salire per chi cerca di ottenere contratti più stabili o promozioni.
Con un governo di sinistra, probabilmente nel nostro ufficio ci sarebbe più sicurezza contrattuale, con contratti a tempo indeterminato incentivati e maggiori tutele per chi rischia il licenziamento; investimenti nella formazione e aggiornamento del personale, per favorire la crescita professionale e la riconversione in nuovi ruoli; maggiore bilanciamento vita-lavoro, con possibile promozione di orari ridotti o smart working regolamentato.
Karl Marx sosteneva che il lavoro non doveva essere soltanto un mezzo per sopravvivere, ma un’attività attraverso cui l’uomo realizza sé stesso. Il concetto di alienazione — in cui il lavoratore si sente estraneo al prodotto del proprio lavoro — risuona ancora oggi nelle realtà di precariato e nei lavori senza prospettiva.
D’altro canto, la visione più liberista, rappresentata da economisti come Friedrich Hayek, vede la libertà economica e la concorrenza come motori principali per la creazione di lavoro, lasciando alle forze di mercato il compito di equilibrare domanda e offerta. Il lavoro non dovrebbe essere solo un numero da sbandierare, ma una condizione di dignità e sicurezza per chi lo svolge. Come sosteneva Marx, il lavoro dovrebbe essere uno strumento di autorealizzazione.
Salvatore Talento