Alla vigilia della tornata elettorale, più che soffermarsi sulle questioni di merito, su quanto fatto e sulla reale possibilità di invertire una rotta che confina la Campania ai margini dell’azione politica nazionale, il dibattito si fossilizza su chi candidare, con quali prospettive di coalizione o sostegno e, giammai, su un’analisi reale e trasparente su cosa si è fatto, su come si è fatto e quale impatto ha avuto l’azione amministrativa sulla qualità della vita dei cittadini e sui lavoratori, e soprattutto su come uscire dall’angolo in cui siamo palesemente messi. Sindaci che si preparano ad abbandonare le comunità che li hanno scelti, indipendentemente da come si è riscontrata la fiducia raccolta, sviluppi di carriera politica come elemento distintivo, non delle prerogative del territorio bensì delle soggettive prospettive, slegate ovviamente dalla comunità che ci si appresta a lasciare, troppe volte in condizioni peggiori di come la si era presa.

Partiti che sembrano ostentare le proprie prerogative e scelte, indipendentemente dalla percezione che i cittadini hanno dell’azione amministrativa che si è proposta, talvolta attraverso sistemi di  interrogazione del consenso di difficile interpretazione e legittimazione  democratica, in altri casi con risoluzioni verticistiche che non ammettono verifiche, non fanno altro che allontanare la gente dalla partecipazione e dal protagonismo che invece dovrebbe essere assicurato e ricercato per i cittadini, per provare ad arginare il populismo dilagante, nelle sue novellate e diversificate forme che il quadro istituzionale sembra costruire ad arte e senza soluzione di continuità. Il Mezzogiorno arretra e i dati economici, che sembrano essere solo utili  oggetto di studi per poi restare nei database senza che nessuno se ne faccia realmente carico con conseguenti azioni  politiche, lasciano pochi dubbi sulla capacità di governo del territorio, visto che non c’è un solo dato che possa ascrivere positività al presente e soprattutto al futuro di intere generazioni. Saldi migratori drammatici con giovani che vanno via non per scelta, ma per disperato obbligo, impoveriscono il futuro e il tessuto produttivo e sociale del SUD, interi Paesi che si spopolano con una curva ascendente che sembra inarrestabile, desertificazione industriale con perdita di migliaia di posti di lavoro che lasciano lavoratori e famiglie senza reddito, ma con società e multinazionali che scappano dopo aver attinto a piene mani alla finanza pubblica, meritano ben altre determinazioni che nessuno sembra voler costruire per un territorio stanco di pagare sempre il conto più salato. Non sono bastati i voti di protesta, mai ricambiati con una proposta vera di inversione di tendenza, non sono serviti i capitani coraggiosi e gli uomini soli al comando, il declino non accenna a fermarsi, il divario tra ricchi e poveri si allarga e la concentrazione dei capitali aumenta nelle mani di pochi con la disperazione e la povertà che allarga il suo raggio.

Il SUD è sempre più lontano dal resto del Paese e del Continente, le iniziative di Autonomia Differenziata poste da diverse Regioni di diverso colore politico, avrebbero dovuto suscitare sdegno e preoccupazione dei partiti, che invece per qualche calcolo (quasi sempre sbagliato) sembrano quasi imbarazzati anche a fronte delle perplessità di tutta la comunità scientifica, che notoriamente non è pervasa da sentimenti meridionalisti. L’Unità del Paese è un sentimento rivendicato solo dal Sindacato, a Reggio Calabria come a Milano, passando per Roma centinaia di migliaia di lavoratori, pensionati, giovani donne e uomini hanno detto basta a questa visione del Paese, lavoro, servizi e contratti sono la strada per far ripartire il Paese, cominciando dal SUD senza cui non potrà esserci ripresa, e se non c’è nessuna parte politica che se ne vuole far carico poi non bisogna cercare i responsabili lontano dal proprio specchio.