Sabato scorso, dopo le violente mareggiate degli ultimi giorni, è crollato l’antico arco borbonico sul lungomare di Napoli, il cosiddetto “Chiavicone”.
Cronaca di una morte annunciata? No, non è il titolo del noto romanzo di Gabriel Garcìa Marquez, piuttosto, l’epilogo di  quanto, presumibilmente, sarebbe accaduto. Dal 2018, infatti, numerose le segnalazioni sull’imminente pericolo e solo dal 2019 la questione viene affrontata in un rimpallo di responsabilità. Comune, Soprintendenza, Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale: lunghe riunioni per decidere il da farsi e solo lo scorso giugno un’ipotesi di restauro da parte dell’AdSP, di cui si dovranno ancora appurare le responsabilità.

Ma, ovviamente, siamo in Italia e le lungaggini burocratiche, accompagnate da una disarmante superficialità, la fanno da padrone. Che dire, nell’inutilità di piangere su quanto ormai accaduto, c’è una riflessione che andrebbe fatta: le povere pietre agonizzanti, rimaste lì come in un puzzle da ricostruire, gridano vendetta e sono ancora in attesa di essere messe in sicurezza per la ricostruzione (che chissà quando avverrà)!

Ma come sostenuto in un’intervista dal Presidente dell’AdSP, Pietro Spirito: “quei pezzi… non andranno via da soli, ci sarà tempo e modo per provvedere al recupero del materiale con le modalità più opportune”. Tempo e modalità, ecco i nostri nemici. Il tempo ci ha dato torto, perché troppo tempo è stato fatto trascorrere dai primi segnali di allarme ed ancora oggi si prende tempo per rimuovere i massi restanti del defunto arco; e le modalità sino ad oggi utilizzate per la risoluzione del problema appaiono discutibili. Gli eventi metereologici che da settimane, se non ormai da anni, stanno flagellando la nostra città, il nostro Paese se non l’intero pianeta, devono farci riflettere sulla necessità di affrontare tali situazioni non soltanto tempestivamente, quanto piuttosto mettendo in campo competenze specialistiche. Occorrono veri e propri esperti meteomarini e strutturisti in grado se non di prevedere (certo la meteorologia è un settore assai arduo e non di Cassandra derivazione) quanto meno di ipotizzare eventi tanto catastrofici e le loro possibili conseguenze. E non può che constatarsi, tristemente, che in questi ultimi anni abbiamo assistito a tante collaborazioni tra le istituzioni citate prima e le Università, che a quanto pare non hanno portato i loro frutti. Questo il vero problema. Se le questioni venissero affrontate sfruttando sinergicamente le competenze e gli studi, anziché sprecare tali energie per accusarsi a vicenda, si potrebbe non soltanto salvare il nostro patrimonio storico – artistico, ma, impresa ardua, anche quello umano!!