Ci siamo conosciuti una sera di molti anni fa. Sarebbe più corretto dire che io l’ho conosciuto, lui non ha mai saputo della mia esistenza. Il fatto avvenne in uno di quei mega centri commerciali che all’epoca facevano tanto modernità. A quei tempi il mio quotidiano era travagliato, mi ritrovavo per quelle strane concatenazioni che la vita riserva ai mortali, nella necessità di raccogliere quel che restava del mio precedente vissuto e cercare di ricominciare. Devo ammettere che buttarmi anima e corpo nel lavoro ebbe un effetto stabilizzante per il corpo, mi permise di non trascurare l’immagine che gli altri, me compreso, avevano di me. La camicia sempre pulita, i pantaloni piegati, dignitoso e sempre ordinato. Ma quando di sera il lavoro finiva mi ritrovavo nel mondo delle piccole cose, i soliti gesti, le mie mini manie. La mente vagava, evitavo i luoghi familiari e i conoscenti; gli amici erano quasi tutti spariti e sentivo su di me l’ostracismo dei colleghi, dei conoscenti. Un comportamento moralista, bigotto. Non che negassi il loro diritto ad esserlo, mi indignava il fatto che era a prescindere. Nessuno si è mai domandato perché le cose succedono, l’importante è che siano gli altri ad esserne colpiti, per avere così il diritto di denigrare, quasi fosse uno sport, perché va fatto. “Dagli al paria, colpisci l’untore”, da veri frustrati. Quella sera ero entrato in quella cattedrale del consumismo perché tutti gli altri negozi erano chiusi, considerata l’ora tarda, covavo delusione per il comportamento dei miei simili, ma oltre a mangiare amarezza avrei dovuto anche nutrirmi. Cercai e presi del tonno, già parzialmente preparato per il più classico degli spaghetti, e nel tornare alla cassa imboccai una corsia che mi allungò il cammino, fu allora che lo vidi.  Su uno scaffale, in  bella mostra con altri libri, lo sguardo si fermò su una copertina elegante ma non pretenziosa, si leggeva bene con lettere gialle su fondo blu Andrea Camilleri -la stagione della caccia. Acquistai il romanzo così d’impulso, forse perché l’oggetto si presentava bene, era ben vestito. Tornato a casa, circondato dalla mia solitudine, dopo gli spaghetti invece di rimbecillirmi come facevo ormai da un po’ di tempo con i colori della tv, quasi senza pensarci aprii il libro e fu un colpo di fulmine. Dopo, con il tempo, mi sono procurato tutti i libri che Camilleri ha pubblicato e non sono mai rimasto deluso.

Gli scritti di quest’uomo mi hanno riabituato a nutrire anche la mente e il sonno. Da allora le cose nel mondo sonno cambiate e molto, le città non si bevono più, in compenso si è spronati a mangiarsi l’un l’altro. Come dice la nostra diva internazionale più nota “accattatavillo“. Gli scritti di Camilleri sono stati per me una sorsata di acqua fresca e, insieme ad altri autori, mi ha riaccompagnato alla normalità. Per lui ho un affetto particolare. Apprezzo l’opera di Camilleri e lo stimo e lo ammiro. Ho dovuto aspettare per poter parlare di questo grande siciliano, mi è stato necessario metabolizzare il vuoto lasciato nello spazio dalla sua assenza fisica, in ogni caso la consapevolezza che non sia più qui me lo farà mancare molto. A dirla tutta.. qualcosa l’avevo intuito quando cominciò a parlare nelle sue ultime interviste di quella sua curiosità sull’eternità. Ne ebbi quasi la certezza quando lessi Conversazioni su Tiresia. Quando ho poi assistito alla messa in opera del libro, al Teatro Greco di Siracusa, ho pensato al suo modo di salutare il mondo, nonostante l’augurio finale di rivedersi tutti fra cent’anni. Ma l’augurio sembrava rivolto al pubblico più che a sé stesso. Lui ci lascia i suoi scritti, il suo pensiero mi mancherà e sono certo non mancherà solo a me. Arrivederci, ad un giorno mi auguro lontano nel tempo.. non sono ancora pronto per l’eternità.
Vi saluto e sono L’autoferroagricolo!