Se qualcuno pensava che ad essere a rischio fossero solo i “lenzuoli di protesta” perlopiù ironici, esposti sui balconi dei palazzi in città, in segno di protesta contro questo Governo che piace sempre meno, beh.. si sbagliava. Sembra che il pensiero non violento di liberi cittadini sia ormai oggetto, sempre più spesso, di censura. E si arriva persino ad utilizzare vigili del fuoco, distogliendoli da altre operazioni di soccorso urgente, per far rimuovere striscioni presenti in abitazioni private; una vera e propria guerra agli slogan antigovernativi che ha visto protagonista, questa volta, la Uil Fpl e i lavoratori del pubblico impiego. Stavolta non sono intervenuti i vigili del fuoco ma direttamente la Digos che ha bloccato uno striscione che ritraeva una vignetta dei vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini. È accaduto in piazza del Popolo, a Roma, dove era in corso una manifestazione nazionale dei lavoratori del pubblico impiego che rivendicavano in piazza lo sblocco del turnover, il rinnovo dei contratti, il superamento della disparità tra pubblico e privato, la necessità di investire sulla formazione e sull’aggiornamento professionale.

Un corteo pacifico, una manifestazione come tante, perché ci è ancora rimasto il diritto di protestare, di urlare ad alta voce, di rivendicare, di opporci ai soprusi e alle cose che non vanno. Ci è ancora rimasto questo. Forse. Nonostante su quello striscione di 108 mq fosse riportato solo un dialogo ironico tra i due vicepremier, nonostante non ci fosse scritto nulla di offensivo, nonostante siamo in un Paese libero, una Repubblica democratica così come recita l’articolo 1 della Costituzione italiana, la Questura ha fatto intervenire la Digos per la rimozione immediata dello striscione. E i manifestanti della Uil hanno dovuto riavvolgere il loro striscione sentendosi dire che l’oggetto incriminato ledeva l’immagine di una parete di interesse storico culturale in via Adamo Mickiewicz, nei pressi del Pincio. Nessun dispetto verso il contenuto di quanto riportato sullo striscione, nessuna ritorsione, no assolutamente no, andava rimosso perché semplicemente ledeva il decoro paesaggistico, così come previsto dall’articolo 49 del Codice dei Beni Culturali e del paesaggio. Certo, sarà sicuramente così, certo, non dobbiamo preoccuparci se si sta mettendo un bavaglio a quanti, nel pieno rispetto delle regole democratiche e della civile convivenza, si recano in piazza a rivendicare il rispetto dei diritti sanciti dalla Costituzione stessa. Ci chiediamo sempre più spesso se i cittadini che vivono questa terra continuino a godere della libertà di espressione in questa Italia sempre più disorientata, dimenticando quanto sia preziosa e irrinunciabile questa conquista e quanto sarebbe tremendo perderla. Perdere la libertà di parola significa avere un costante controllo del pensiero, delle opinioni, delle emozioni, delle azioni quotidiane. Significa perdere altri diritti fondamentali. E non si parla di questo per il semplice gusto di lamentarsi ma sulla deriva di una censura esercitata in maniera sempre più decisa e opprimente nei confronti di coloro che si “permettono” di dire basta alle storture dei nostri sistemi politici sempre meno democratici. Il mondo si è trovato già molte volte a questo bivio.

Decidere di non avere paura, decidere di lottare e combattere per la propria libertà, decidere di cambiare. Ognuno secondo le proprie forze e la capacità di sopportare la pressione e le conseguenze. Noi continueremo a riempire le piazze di blu, noi continueremo a pensare, a parlare e a perseguire la libertà. Continueremo a lottare contro quanto ci sarà di incostituzionale. Non dimentichiamolo: abbiamo più potere di quanto immaginiamo. W l’Italia che non ha paura, w la libertà.